
06 Dic Il Discorso di Benedetto XVI a Ratisbona: una felix culpa?
Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Un testo di Paolo Luigi Branca*.
In un recente libro ho tentato di mostrare e documentare come anche tra arabi e musulmani sia riscontrabile la presenza di un autentico umorismo, attraverso la presentazione di modi di dire, motti di spirito, storie e barzellette comunemente ricorrenti nella letteratura e nella vita quotidiana. Si tratta di materiale genuino, che ha avuto origine e circolazione in loco per iniziativa dei diretti interessati che ne sono in qualche modo, dunque, sia i creatori sia, spesso, il bersaglio. Altra cosa sarebbe stato occuparsi delle analoghe creazioni che hanno sempre loro come oggetto, ma altri come creatori: battute e storielle che prendono di mira arabi e musulmani che sono presenti un po’ ovunque, come del resto succede a proposito di altri gruppi religiosi, etnici e sociali (ad es. ebrei, neri o giapponesi, donne o medici o poliziotti…). Ho tuttavia evitato di entrare in questo ulteriore e diverso settore dell’humour senza ritenermi reticente o ambiguo. Alcuni fatti recenti e che hanno avuto grande risonanza a livello internazionale, mi hanno indotto tuttavia a proporre almeno alcune considerazioni generali, senza la pretesa di esaurire un tema così vasto e complesso, in quanto l’opinione pubblica mondiale ha trovato in essi la conferma, se non di un vero pregiudizio, almeno di un certo timore, ossia quello di trovarsi di fronte a qualcuno che non sa accettare critiche o provocazioni senza reagire in modo violento. Non dire nulla a questo proposito andrebbe a scapito del fine che insieme alle due co-autrici ci eravamo proposti, lasciando senza risposta domande legittime e rilevanti alle quali pertanto non ci siamo sottratti.
Premettiamo che, per quanto le parole, dette o scritte, possano anche far molto male a motivo del loro contenuto offensivo o del tono sprezzante, una reazione violenta ad esse non è mai accettabile poiché non v’è proporzione tra le due cose: udire o leggere qualsiasi cosa, anche la più tremenda, non ha mai mandato chi ascolta o vede all’ospedale né al cimitero. Purtroppo è avvenuto e avviene spesso il contrario, come anche alcuni detti comuni ricordano: “Ne uccide più la lingua che la spada” o “La lingua non ha ossa, ma se le fa rompere” ed altri simili. Com’è noto, tuttavia, proverbi e detti svelano proprio gli aspetti paradossali della realtà, ben lungi dal giustificarli. È inoltre sconcertante constatare che quando tali reazioni sproporzionate si producono, in generale l’opinione pubblica e le istituzioni del mondo arabo e musulmano siano tanto lente e reticenti nel condannarle, il che rivela almeno quanto manchino obiettività e serenità di giudizio e come tale ambiguità celi frustrazioni e strumentalizzazioni che certo non contribuiscono alla soluzione delle pur rilevanti questioni di fondo che questi episodi sottendono.
A dire il vero, l’unico recente affaire ad avere attinenza diretta col nostro tema sarebbe quello delle vignette danesi sul Profeta, in quanto altre pur gravi crisi si sono dovute a testi, film o discorsi che non erano né intendevano essere umoristici. Ci pare però che la reazione a tutto quanto può esser considerato offensivo e in particolar modo blasfemo (il che vale almeno per tre dei quattro casi che analizzeremo) possa rientrare in una più ampia categoria che si è rivelata problematica nel caso degli arabi e dei musulmani e che quindi valga la pena di fare un discorso più generale.
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*Paolo Luigi Branca è arabista e islamologo, docente di islamistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.