Il Cortile sul “Fine Vita”: Malati terminali, una sofferenza da accompagnare (Stefania Careddu – Avvenire – 24/05/2014)

Quando si parla di sofferenza, proporzionalità delle cure ed ultima fase dell’esistenza il dibattito si accende e i toni si alzano. L’incontro del Cortile dei Gentili su “I confini dei territori alla fine della vita”, ieri a Montecitorio, è stato invece un esercizio di ascolto “nel rispetto delle convinzioni e delle appartenenze” per entrare “nell’arcano dell’uomo”, come ha sottolineato padre Laurent Mazas, direttore esecutivo dell’iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio della cultura per favorire il dialogo tra i credenti e non credenti.

“In una società in cui la morte è fortemente medicalizzata e si fa fatica a parlare del limite”, è fondamentale recuperare la dimensione della relazione, “la cui caratteristica principale è la responsabilità verso l’altro”, ha sottolineato Alberto Giannini, responsabile di Terapia intensiva pediatrica al Policlinico di Milano.

Sull’importanza della relazione, “di fronte a una tecnologizzazione del morire che fa paura”, è intervenuta anche Laura Palazzani, docente di Filosofia del Diritto alla Lumsa di Roma, che si è soffermata anche sui criteri (“inefficacia, gravosità e costo”) che aiutano a definire sproporzionata una cura.

Per Luciano Orsi, direttore del Dipartimento di cure palliative dell’Ospedale Poma di Mantova, “l’alternativa non è tra fare tutto e non fare niente perché si può fare altro, accompagnando il paziente verso una fine dignitosa”, mentre per Paolo Zatti, docente di Diritto privato, “dobbiamo sostenere lo sforzo della medicina a ritrovare il senso della misura, in un logos profondo di proporzione”.

“Qualità della vita e dignità sono fondamentali, ma se non c’è libertà sono parole vuote”, ha osservato da parte sua il filosofo Giulio Giorello.

“Nella nostra realtà non vedo né tanta pressione perché la morte diventi una decisione, né medici che usano mezzi sproporzionati, ma piuttosto solitudine e necessità di accompagnare la sofferenza del malato e dell’operatore sanitario”, ha rilevato monsignor Andrea Manto, docente di Teologia morale all’Università Lateranense, per il quale “il tema che ci sfida è quello della cultura della vita”.

“Il diritto a morire non appartiene alla tradizione europea. Il suicidio è un atto disperato : perché nobilitarlo come gesto di libertà?”, si è domandato Francesco Paolo Casavola, presidente del Comitato nazionale per la bioetica, che ha tirato le conclusioni del dibattito organizzato con la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, presieduta da Massimo Antonelli e la Fondazione “Cortile dei Gentili” guidata da Giuliano Amato.

Stefania Careddu

Avvenire

24 maggio 2014