Il Cortile dei Gentili a Buenos Aires: lettera di Maria Kodama

Lettera di Maria Kodama, vedova del celebre scrittore argentino Jorge Luis Borges, per il Cortile dei Gentili di Buenos Aires pubblicata sul sito del Foro nel giorno della presentazione dell’evento.

Cerco di stare con voi attraverso la parola, dato che un viaggio mi impedisce di esserlo fisicamente, per celebrare l’inaugurazione del Cortile dei Gentili. L’iniziativa è stata creata da Benedetto XVI e segue la tradizione della Chiesa di Gerusalemme in cui il Cortile dei Gentili ospitava genti di distinte religioni, agnostici e atei per discutere le differenze e accentuare le affinità.

Il Santo Padre Francesco continua con grande entusiasmo questo progetto. Il medesimo che, da un punto di vista laico, Borges esprime ne “I congiurati”, la “magna carta” del Foro Ecuménico social, organizzato e diretto in modo ammirevole da Fernando Flores.

Finito il recente incontro di Bologna, il Foro Ecuménico è andato a Roma per un’eventuale incontro con papa Francesco, dopo una riunione con il cardinal Ravasi.

Lì, mentre ognuno si presentava, mi è venuto in mente il verso di un poema che Borges dedicò molti anni fa a Mujica Lainez: “Abbiamo avuto una patria e l’abbiamo persa”. Mi sono domandata: la patria dell’animo non è forse la fede? Borges ed io l’abbiamo avuta – entrambi siamo stati battezzati – e, più tardi, come agnostici, l’abbiamo persa.

Coloro che ricevono il dono della fede, dicono e sentono che Dio esiste. Gli atei, al contrario, lo negano con la stessa convinzione. In entrambi i casi, qualcosa nel loro intimo si placa.

Quando è venuto il mio turno di parlare ho ribadito che Borges era agnostico ed io pure. Chissà, forse questo è il più patetico dei destini e, al contempo, quello che più avvicina l’uomo a Dio, se esiste. Perché noi agnostici cerchiamo di arrivare a Lui tracciando un cammino parallelo, continuo. Proviamo a comprenderLo per l’unica strada attraverso cui è impossibile raggiungerLo: la ragione. La fede come l’amore ci “cattura” con una rivelazione improvvisa che trascende qualunque proposito personale. E’ qualcosa, allo stesso tempo, di dolce e terribile, come ogni grande scoperta che riguardi la nostra essenza. Quando parlavo di questi argomenti con Borges, finivo sempre per dirgli che il nostro cammino parallelo racchiude in sé una speranza. Poiché se, come dicono i matematici, le rette parallele si intersecano nell’infinito, prima o poi, anche noi ci saremo ricongiunti con quella forza, luce, energia primaria che tanti chiamano semplicemente Dio.

La profondità e l’apprezzamento con cui questa riflessione è stata accolta dai presenti è stata per me un’esperienza unica, emozionante.

E’ stata, poi, una gioia scoprire che sia il cardinal Ravasi sia il Santo Padre erano lettori di Borges e avevano pensato che uno dei fondamenti di questo Cortile dei Gentili fosse l’esplorazione della dimensione trascendente contenuta nelle sue opere.

Immaginate quale emozione significhi per me, allevata fra due mondi e due fedi, l’idea stessa del Cortile dei Gentili.

Sono cresciuta tra l’intenso cattolicesimo di mia nonna e lo shintoismo di mio padre: per questo da bambina ero arrivata alla conclusione che non ci fosse, in realtà, nessuna opposizione tra i due universi religiosi. Entrambi si basano su principi che rimandano all’etica dell’essere umano. E che aiutano a raggiungere la sua perfezione attraverso il rispetto, la libertà, la comprensione e l’amore.