IA e religione

È il 1956 quando durante un convegno tenutosi nel New Hampshire da un gruppo di ricercatori informatici, si parla per la prima volta del concetto di Intelligenza Artificiale: un’entità pensante dotata di capacità di apprendimento e di adattamento autonome, comparabili a quelle umane. Un’invenzione creata non per adempiere ad uno scopo ben preciso, ma per essere addestrata a fornire aiuto all’uomo in qualsiasi ambito ed in qualsiasi situazione.

Le Intelligenze Artificiali (IA) si collocano così all’interno di una nuova specie di macchine, una sorta di macchine “sapiens” che hanno dato vita negli ultimi anni a numerose invenzioni come i sistemi di riconoscimento facciali, gli assistenti vocali, gli elettrodomestici smart e le automobili con guida autonoma. Ma se da un lato riconosciamo come utili e necessarie le numerose applicazioni dell’IA, dall’altro continuiamo ad essere dubbiosi in merito alle sulle sue potenzialità ed i suoi futuri sviluppi.

Gli studiosi infatti si dividono tra chi ritiene che l’Intelligenza Artificiale possa arrivare a competere ed eguagliare l’intelletto umano e chi ritiene che ciò sia essenzialmente impossibile, perché significherebbe arrivare ad imitare una struttura intricata e complessa di cui noi stessi non abbiamo ancora completa conoscenza. Ma se l’IA opportunamente programmata è in grado di prendere decisioni autonome come si può evitare che l’utilizzo di questa tecnologia non produca ingiustizie, non danneggi le persone e non crei forti disequilibri globali?

La risposta unanime è il bisogno di un’etica, o meglio un’algor-etica, per citare il neologismo introdotto qualche anno fa da Paolo Benanti, frate francescano del Terzo Ordine Regolare, docente di Teologia morale e Bioetica alla Pontificia Università Gregoriana.

Nel recente studio intitolato L’Intelligenza Artificiale: distingue frequenter. Come giungere a una comunanza etica della società del pluralismola Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili” sostiene che “L’Intelligenza Artificiale non nasce da una volontà negativa. Non nasce da una volontà di dominio. Nasce da una volontà conoscitiva. Ma sappiamo che la volontà conoscitiva può condurre a conseguenze lontane dai principi dell’etica”

Se le intelligenze basano le loro decisioni sui dati, e i dati sono imperfette o imparziali rappresentazioni della realtà, non è pensabile che queste macchine possano fare delle scelte prive di errori, e proprio perché le intelligenze possono sbagliare dev’essere richiesto l’intervento dell’uomo ogni volta che si verifica una condizione di incertezza. In questo modo si potrà affermare che l’IA è uno strumento nelle mani dell’uomo, che pone l’umano al centro, e che non potrà conquistare più di quanto gli verrà da noi concesso.

La Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili” sottolinea anche l’impossibilità delle norme giuridiche di guidare e contenere le eventuali conseguenze negative, e per ora non determinabili, delle IA. Gli esperti sostengono che spetti alla coscienza dei ricercatori, in qualità di persone e parte della comunità, guidare la ricerca su questo fronte in maniera etica in modo che essa non rimanga sola ma Si nutra della riflessione comune che deriva dalle concezioni elaborate e mantenute dalle comunità morali, a partire dalle comunità spirituali e religiose.” Essendo queste le comunità in cuisi elaborano e si rivedono continuamente le visioni antropologiche che stanno alla base della determinazione non dei mezzi, che spettano alla razionalità calcolante, ma dei fini propri della persona e della società”

È proprio qui che può esistere un legame tra tecnologia e Cristianesimo, con la creazione di una intelligenza artificiale che possa generare inclusione e comunione. Una potenza computazionale che sia al servizio dell’attività umana, per l’uomo e che non escluda l’uomo. Un’IA che rimanga mezzo e non diventi un fine, affinché il suo uno sviluppo e la sua ricerca siano antropici e cioè custodi dell’umano anche nella sua integrità.