Fare i conti con la Bibbia

«Il pagamento del Tributo», Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci

 

da “Il Sole 24 Ore” – 31 gennaio 2016 – di Gianfranco Ravasi

«Gli economisti sono chirurghi che hanno un eccellente scalpello e un bisturi scheggiato, sicché operano a meraviglia sul morto ma martirizzano il vivo». Pur concedendo la tara al genere letterario dell’ironia sulle professioni (analoghe scudisciate sono state nei secoli riservate ai medici, agli avvocati, agli psicologi, ai preti e così via) e al sarcasmo che cosparge i Pensieri e massime dell’autore francese settecentesco Nicolas de Chamfort, bisogna riconoscere una robusta anima di verità in questa sua definizione di coloro che Marx senza esitazione classificava nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844 come «i rappresentanti ideologici del capitalista». Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della storia e all’economista rigido custode e difensore dei sistemi finanziari e del mercato è subentrato spesso un ben diverso profilo di taglio più “umanistico”, nella consapevolezza che la vera economia dovrebbe obbedire alla sua stessa matrice filologica di «legge (nómos) della casa (oikos)» della società.

Non per nulla, nel suo ormai popolare saggio sull’Etica ed economia (Laterza) Amartya Sen non esitava a scrivere che «il distacco dell’economia dall’etica è un impoverimento dell’economia il cui alveo originario dovrebbe essere la filosofia morale, terreno nel quale molti economisti temono di inoltrarsi». Ormai, però, non sono pochi coloro che – tra i cultori di questa disciplina – si avventurano con impegno su questo terreno solo apparentemente estraneo ai loro canoni, e lo fanno spesso con ampio consenso di seguaci (un solo esempio tra i tanti, il recente successo del saggio Il capital nel XXI secolo di Thomas Picketty, tradotto da Bompiani nel 2014). Tra costoro vorremmo ora evocare la figura di Luigino Bruni, docente di economia politica all’università Lumsa di Roma che, con il collega Stefano Zamagni dell’università di Bologna e della John Hopkins, costituisce uno dei rappresentanti di spicco della cosiddetta “economia civile” (questo è anche il titolo di una loro opera scritta a quattro mani e pubblicata dal Mulino nel 2015).

Non è mia intenzione (né è nelle mie competenze) entrare nel merito di questa proposta, per altro molto suggestiva e – come ho potuto personalmente sperimentare con Zamagni – accolta con vivo interesse soprattutto in America Latina. Segnalerò, invece, un curioso percorso adottato da Bruni in alcuni suoi scritti recenti, nati inizialmente come interventi da “terza pagina” sul quotidiano Avvenire. Si tratta di un attraente approccio alle Sacre Scritture di taglio socio-economico, differente però da una certa esegesi socio-politica embrionalmente elaborata, a partire dagli anni Trenta-Cinquanta del secolo scorso sulla base delle teorie della famosa Scuola di Chicago (Friedman, Stigler, Simson, Becker etc.) e poi perfezionata tra il 1970 e il 1990 in Europa soprattutto nei confronti del cristianesimo delle origini, talora col supporto di teorie piuttosto allogene come il marxismo o altri modelli sociologici, ma anche con qualche esito interessante (penso alla Sociologia del cristianesimo primitivo e ad altri saggi di Gerd Theissen oppure ai saggi di Michael Walzer).

Quello di Bruni nei confronti della parola sacra è piuttosto l’atteggiamento caratteristico di una costante prassi giudaica e cristiana, opportunamente rivisitata. Il movimento in pratica è centrifugo: dal testo originario, con le sue specifiche coordinate, si parte per un viaggio fino alla periferia dell’oggi, attraverso un processo di riattualizzazione e di espansione che però non allenta o stacca il suo aggancio con la pagina primigenia, pur veleggiando ormai nei cieli della contemporaneità. In questo si differenzia dalla mera allegoria che si sgancia dal nucleo germinale facendolo evaporare in particelle etereee disperse di spiritualità. Se si volesse rimandare a un emblema visivo di tale approccio, evocherei – tra le molte iconografie possibili – la tela Dopo il sermone di Gauguin della National Gallery of Scotland di Edinburgo, ove il celebre passo biblico della lotta con l’angelo (Dio) di Giacobbe (Genesi 32) è trasferito nella piazza di un villaggio bretone e nella sua quotidianità incarnate dalle tipiche cuffie a vela delle donne che vi assistono e che ne sono coinvolte.

In questa linea lo sguardo di Bruni privilegia un’applicazione attraverso la quale la visione teologica si intreccia con l’esperienza etico-sociale. Così, ad esempio, nel primo suo volume che ha come base il libro della Genesi la sepoltura di Sara moglie di Abramo si sviluppa attorno al fatto che il patriarca deve cercare sul “mercato” una tomba disponibile e acquisirla come “proprietà” (c. 23).

Il dialogo tra Abramo, l’acquirente, e Efron, il commerciante, da economico quale esso è si allarga al tema dell’incontro relazionale e alla sua complessità, raggiungendo anche il valore del “contratto” in dialettica col dono. Ogni pagina biblica che viene assunta acquista, così, una fragranza inedita per il lettore odierno; ogni annotazione apparentemente “sociale” si trasfigura sempre nell’alone della trascendenza e quindi, ogni relazione orizzontale, interumana ha un’espansione vertical verso il divino (quella che la Bibbia chiama “alleanza”). L’uomo ha, certo, i contorni limitati di un’isola ma contemporaneamente quei confini circoscritti sono le frontiere dell’oceano infinito, per usare una nota metafora di Wittgenstein.

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi e svelerebbero l’originalità dello sguardo di Bruni. Anche il lavoro settennale di Giacobbe per ottenere in sposa l’amata e bellissima Rachele si trasforma legittimamente in una riflessione sul delicate incrocio tra denaro/profitto e amore/vita, con tutti gli esiti eterogenei che ben conosciamo. E così via, seguendo la trama di quelle antiche saghe fa­ miliari e nazionali si vedano le pagine riservate a quell gioiello narrativo che è la storia di Giuseppe l’egiziano, una vicenda che ha affascinato per altra via il grande Thomas Mann). Ancor più agevole è applicare questa lettura a un libro di liberazione da una schiavitù com’è l’Esodo biblico, a cui Bruni dedica un’altra sua “esegesi”, usando come vessillo le levatrici di Egitto che oppongono l’obiezione di coscienza al decreto infanticida del faraone. Esse anticipano simbolicamente nel piccolo Mosè salvato, la nascita dell’Israele libero dal grembo del mar Rosso.

Queste letture inseguono il popolo anche lungo le piste assolate del Sinai ove affiora quanto sia arduo l’esercizio della libertà e quanto sia attraente l’idolo che schiavizza, un po’ come accade al cane che ti riporta sempre il ramo che gli avevi lanciato così da lasciarlo correre nella libertà, tanto per usare un’immagine di Dostoevskij. Prima di giungere alla terra promessa, Israele vive infatti molteplici esperienze non sempre esaltanti che aprono squarci dai quali è possibile scorgere raggi che illuminano il travaglio della società moderna e il groviglio delle stesse questioni economiche strutturali del nostro tempo. Uno dei fili conduttori più robusti dell’analisi di Bruni è quello della gratuità che attraversa molte scene bibliche e che costituisce uno dei crocevia di un’economia veramente “civile”. Lo stesso tramonto finale di Mosè sulla vetta del Sinai non è forse un atto di gratuità, espresso nel distacco da quella terra promessa verso la quale tendeva tutta la sua vita, la sua missione, la sua opera di guida del popolo ebraico? Un’appendice. Abbiamo citato in connessione a Bruni il notissimo economista Stefano Zamagni. Nella sua vasta bibliografia suggeriamo solo, con una semplice evocazione, la lettura di un suo recente e delizioso mini-saggio dedicato alla virtù della prudenza, già esaltata da Adam Smith nella sua Teoria dei sentimenti morali (1759) contro il pessimismo “egoistico” di Mandeville. È una smitizzazione gustosa e intelligente dell’idea di prudenza come avversione al rischio e un appello realistico eppure prospettico, a dare più respiro a una politica e a un’economia asfittica proprio attraverso questa virtù ai nostri giorni fraintesa o ignorata.