Diamanti sintetici: un pericolo per l’Africa?

Era il 1866 quando in Sudafrica, sulle rive del fiume Orange, venne trovato il primo diamante del continente da 22 carati e qualche anno dopo, nella stessa zona, ne fu rinvenuto un secondo da 83. Questi due ritrovamenti segnarono l’inizio di una vera e propria corsa ai diamanti in quel territorio, che nel giro di pochi anni si estese in tutto il continente e portò alla luce le numerose risorse preziose di cui tutt’ora è ricco. Ancora oggi i maggiori estrattori mondiali di diamanti sono il Sudafrica e la Repubblica Democratica del Congo, che è anche il primo produttore mondiale, ma i giacimenti si estendono anche in Angola, in Liberia, in Sierra Leone, in Botswana, in Tanzania, in Congo e in Zimbabwe.

Attualmente circa la metà della produzione mondiale di diamanti ha origine in Africa ma questa fortuna si è rivelata essere una maledizione per i locali poiché l’estrazione delle pietre preziose è stata largamente utilizzata per finanziare governi corrotti e gruppi militari di ribelli che hanno provocato numerose guerre civili. A questo si sono aggiunte le condizioni di sfruttamento e mal gestione delle miniere che inevitabilmente hanno avuto ripercussioni sui lavoratori coinvolti.

Per garantire che i profitti ricavati dal commercio dei diamanti non venissero usati in modo improprio, nel 2002 venne istituito il Kimberly Process, una certificazione basata su tre punti che determina i requisiti essenziali che i Paesi aderenti all’iniziativa devono soddisfare in modo da trattare solo diamanti “puliti”. La prima prerogativa prevede che il fine ultimo della compravendita delle gemme non sia finanziare guerre civili o il rovesciamento di governi riconosciuti tali dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Il secondo requisito impone invece che ogni diamante sia accompagnato da un certificato che ne testimonia il rispetto dello schema Kimberly mentre il terzo vieta ai Paesi che non aderiscono a questa certificazione di importare o esportare diamanti. Questi tre punti sono stati sviluppati con l’intento di creare una catena di Paesi che trattino solo diamanti puliti, ma al giorno d’oggi una valida alternativa esiste: si tratta dei lab grown diamonds ovvero dei diamanti sintetici.

Un diamante sintetico possiede la stessa composizione chimica, la stessa struttura e le stesse proprietà di un diamante naturale ma a differenziarlo è il suo processo di creazione che avviene in laboratorio con macchinari all’avanguardia, che ricreano le condizioni di alta pressione e temperatura che permettono lo sviluppo dei diamanti naturali. Se è vero che produrre diamanti sintetici è vantaggioso sia dal punto di vista della velocità di produzione e del costo relativamente inferiore, il tema è diventato centrale per quanto riguarda la gestione delle risorse in Africa e i danni che i diamanti sintetici possono causare all’economia del continente che non potrà più guadagnare dalle attività di estrazione.

Nonostante la presenza di numerose miniere e l’enorme quantità di gemme di cui l’Africa è ricca, dall’inizio della corsa ai diamanti il settore minerario è stato protagonista di varie controversie legate a dinamiche di dominio coloniale e violazione dei diritti umani. Chi lavora nelle miniere continua a farlo in condizioni di scarsa sicurezza, rischiando la propria salute e la propria vita e continua a vivere in condizioni di povertà. Se è vero quindi che i diamanti hanno portato lavoro per molti è anche vero che i maggiori beneficiari della loro ricchezza non sono stati i paesi africani.

A tal proposito si è espresso anche il Santo Padre, durante il suo viaggio in Africa dello scorso gennaio: «È tragico che il Continente africano soffra ancora varie forme di sfruttamento, da quello politico, a quello economico, che hanno portato questo Paese a non beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse». Papa Francesco ha anche aggiunto che «il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati dando vita ad un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca.»

L’auspicio del Pontefice è che l’Africa possa diventare protagonista del suo destino e che il mondo possa avere memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali. «L’Africa merita di essere rispettata e ascoltata, merita spazio e attenzione: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare ma la speranza è che nel mondo se ne parli maggiormente, così che possa avere più peso e rappresentanza tra le Nazioni».