COVAX per la globalizzazione della cura

Una luce in fondo al tunnel: la notizia di un vaccino pronto contro il Coronavirus e della sua relativa diffusione ha riacceso la speranza che la vita possa presto tornare alla normalità. Ma ad accendersi è stata anche la competizione tra governi e paesi per accaparrarsi più dosi possibili prima possibile. Una gara dove ad essere favoriti sono ovviamente i più ricchi.
Uno scenario amaro, annunciato da Papa Francesco già lo scorso settembre: «Sarebbe triste se nel fornire il vaccino si desse la priorità ai più ricchi, o se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella Nazione». Il Pontefice in quella stessa occasione aveva invocato una globalizzazione della cura, un vaccino universale, per tutti, che non diventasse l’ennesima prova che i Paesi più abbienti badano più alla propria sicurezza che all’intera umanità. Niente di nuovo, se si pensa al 2009 e all’influenza da virus AH1N1 di derivazione suina.
Ed è per evitare questo che è nata un’iniziativa globale, la COVAX (Global Vaccine Access Facility), voluta da GAVI Alliance – un’organizzazione internazionale – dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI). Si tratta di un progetto internazionale, che punta a garantire un accesso più equo e condiviso al vaccino, con una matrice filantropica. Ad aderire sono stati governi, organizzazioni internazionali, filantropiche, società civile, settore privato, e anche case farmaceutiche, che si autofinanzieranno con l’obiettivo di distribuire due miliardi di dosi entro la fine del 2021 ai paesi più poveri. In questo modo COVAX riuscirà a garantire il vaccino per il 20% delle popolazioni dei paesi partecipanti, sia quelli più ricchi che finanziano, sia i più poveri che vengono finanziati.

Ma questo tentativo nobile di far fronte a un’esigenza globale rischia di essere vanificato dai numerosi accordi bilaterali di acquisto anticipato da parte dei Paesi ricchi che hanno la disponibilità per scommettere su più vaccini. Un segnale che evidenzia come la distribuzione del vaccino sarà tanto impegnativa quanto la sua produzione.
Uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal denuncia il rischio concreto che quasi un quarto della popolazione mondiale potrebbe non avere accesso al vaccino contro il Covid-19 fino almeno al 2022. Un dato che emerge dall’analisi della richiesta dei vaccini prima ancora della loro approvazione. Al 15 novembre 2020, 7,48 miliardi di dosi erano già state prenotate da diversi paesi dai 13 produttori dei 48 candidati al vaccino anti-Covid-19, sottoposti a valutazione clinica. Poco più della metà di queste dosi (circa 3,85 miliardi) a quanto pare andrà ai paesi ad alto reddito, che rappresentano il 13,7% della popolazione mondiale. Oltre l’85% della popolazione globale restante, appartenente a paesi a reddito medio e basso, riceverà le dosi solo da sei produttori (dei 13) che gliele hanno vendute. È a loro che spetterebbe, secondo lo studio, fino al 40% dei cicli di trattamento. Un dato variabile che dipende da come e se i paesi ad alto reddito condivideranno quello che si sono procurati e se Stati Uniti e Russia si apriranno a una cooperazione a livello globale.
Lo studio certifica inoltre che anche se tutte le aziende raggiungessero la loro massima capacità produttiva, comunque un quinto della popolazione resterebbe scoperto fino al 2022.

Eppure di fronte a una pandemia globale non si può lasciare indietro nessuno. Lo dimostra il 68% della popolazione mondiale disposta a vaccinarsi e per cui è necessario elaborare un piano strategico che tenga conto delle diverse epidemiologie locali e che preveda, di conseguenza, priorità di vaccinazione a livello globale, nazionale e regionale.