Bioetica: una morale della concretezza

Il 9 giugno del 1996 sulle pagine del Sole24Ore fu pubblicato il Manifesto di Bioetica Laica, firmato da Carlo Flamigni, Armando Massarenti, Maurizio Mori e Angelo Petroni, in cui si enfatizzava il principio di autonomia: “Ogni individuo ha pari dignità e non devono esservi autorità superiori che possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui in tutte quelle questioni che riguardano la sua vita e la sua salute”.

Il dibattito che scaturì ebbe due effetti. Da un lato portò a una discussione incentrata sui connotati, sulla compatibilità e incompatibilità tra bioetica laica e cattolica – il principale illustratore della divaricazione filosofica dei due approcci alla bioetica è stato Giovanni Fornero –.

Dall’altro, il Manifesto apriva uno spazio di confronto plurale sui temi concreti della bioetica con un’accezione della laicità declinata nel senso di un metodo di ricerca, piuttosto che di un’opposizione filosofica. Di seguito viene proposto il testo di Gilberto Corbellini e Chiara Lalli che percorre la strada del metodo, il cui ragionamento non porta a un maggior controllo e limitazione della libertà – in genere il compito della bioetica è così inteso –, ma consiglia di ampliarla, usando informazioni e conoscenze scientifiche come ausili, in grado di aumentare la libertà degli individui su temi delicati come l’inizio e la fine della vita.

Il presente articolo è stato proposto per la comune riflessione, trattata dal “Cortile dei Gentili”, sul tema del fine vita (cfr Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita) >> “Una morale della concretezza”