
12 Mar Ascoltare oggi Battista da Varano
da Il Sole 24 Ore – 9 marzo 2025 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi ci introduce alla figura di Battista da Varano, scrittrice inserita dalla Fondazione Valla nella collana degli “Scrittori greci e latini”.
Battista da Varano era una donna, anzi, una clarissa, anzi una santa, anzi una scrittrice spirituale. In verità il suo nome di battesimo era Camilla, figlia naturale del signore di Camerino, Giulio Cesare da Varano, assassinato nel 1502 da Cesare Borgia, il terribile duca Valentino, divenuta badessa del monastero di Santa Maria Nuova nel 1499 (era nata nel 1458 e morirà nel 1524). Per molti – come per chi scrive – sarà una scoperta e si deve essere grati alla Fondazione Valla e a chi la guida scientificamente, il collaboratore prezioso del nostro supplemento Piero Boitani, per averla inserita con le sue opere nella prestigiosa e raffinata collana degli “Scrittori greci e latini”.
Sì, perché Battista – canonizzata da Benedetto XVI nel 2010 – scriveva in un delizioso latino umanistico alla Marsilio Ficino. Eppure aveva il vezzo di schernirsi nel finale della sua opera maggiore, il De puritate cordis, col destinatario, un certo frate Mauro monaco dell’ordine di Monte Oliveto, vergando queste righe di understatement: «Ho parlato con te semplicemente e da ignorante… Correggi, ti prego, la mia verbosità piena di ignoranza femminile e mostra di essere mio padre correggendo le frasi sbagliate e sistemando gli errori del latino».
Noto prima in versione volgare (la santa scriveva anche in questa lingua e sono a noi pervenuti alcuni autografi), questo trattato sulla Purità del cuore è stato rinvenuto nell’originale latino da Massimo Reschiglian nel 2009, nella biblioteca universitaria di Padova, su un manoscritto databile tra il 1521 e il 1600 in 80 carte. L’autrice stessa indicava la struttura tematicamente tripartita di «questo opuscolo» (come lo definiva): «L’ho diviso in tre parti, alle quali corrispondono le tre virtù teologali. Infatti alla purità della mente… è data la fede, senza la quale è impossibile che la purità della mente sia custodita. Alla crocifissione amorosa che avviene nell’anima… è concessa la speranza, senza la quale è impossibile sopportare utilmente e attraversare con piede intatto il pericolo della crocifissione. Mentre all’offerta volontaria della nostra memoria, intelletto e volontà è concessa misericordiosamente la carità divina».
Quindi, la triade di fede-speranza-carità ai suoi occhi sarebbe la filigrana dell’intera opera che è scandita anche da una triplice “purità” verso Dio, il prossimo e sé stesso. Naturalmente molteplici sono le sfaccettature di questo programma che, in realtà, traccia l’ideale mappa di un Itinerarium mentis in Deum, fino ad approdare «ai santi baci del suo serenissimo celeste sposo». Le fonti a cui attinge la santa traspaiono in queste pagine che sono da gustare (per chi può) anche nel dettato latino affascinante. Siamo, comunque, grati ai vari curatori di questa edizione che hanno la loro guida fondamentale in Silvia Serventi, una raffinata studiosa della letteratura religiosa del Tardo Medioevo e della prima età moderna, artefice di un’impeccabile traduzione e commento del trattato, a cui nel 2019 aveva già dedicato un’edizione critica.
Dicevamo che in quelle righe si intravedono varie fonti, a partire da Francesco e Chiara di Assisi ma anche Caterina da Siena e Domenico Cavalca e così via. Ma a dominare è la Bibbia col primato del Cantico dei cantici, sorgente viva e ardente dell’amore mistico. Emozionante è il rimando ai versi di quel poema biblico quando si è all’apice della “crocifissione amorosa”, per altro modulata sulla passione di Cristo: «O crocifissione dolorosa, chi vorrebbe spiegare il tuo tormento? Perciò, vi scongiuro, amanti di Dio, dite a lui che languisco d’amore e che sto male. E questi rispondono: Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella tra le donne? O bellissima e ornata, o soavissima e splendida, non solo tra le donne e le anime devote ma bellissima siedi tra i santi e i cori degli angeli».
Tanto altro si scopre pure negli scritti minori di Battista, confermando il rilievo che hanno le autrici mistiche italiane di quei secoli, portate alla ribalta della letteratura da quel grande studioso che è stato Giovanni Pozzi, a cui dobbiamo l’importante antologia Scrittrici mistiche italiane (1988).
Per associazione vogliamo allegare ora una figura antecedente capitale come Caterina da Siena, solo per evocare una serie di studi ai fini di una nuova edizione critica del suo Dialogo o Libro della divina provvidenza. Essi sono frutto di un seminario di storia e teologia della mistica, svoltosi presso l’università pontificia Angelicum di Roma nel 2021 e dedicato alla memoria di un personaggio straordinario come fu lo studioso Claudio Leonardi (1926-2010).
L’interesse per la santa senese, morta a Roma a 33 anni nel 1380, si è spesso concentrato sul suo protagonismo ecclesiale, soprattutto contro l’esilio papale avignonese e quindi sul suo imponente, appassionato ed energico epistolario (381 lettere!). Tuttavia è stato proprio il Dialogo – da lei dettato ai discepoli nel 1378 – a essere alla base dell’attribuzione a Caterina del titolo di dottore della Chiesa da parte di Paolo VI nel 1970. Le diverse voci che intervengono nel volume citato ne delineano i vari aspetti: dalla sua prosa alle fonti bibliche, dalle versioni latine alla diffusione in Europa, dalla teologia della Croce a quella della Chiesa. La croce di Gesù non è solo un luogo di espiazione del peccato umano ma è suprema epifania di misericordia e amore. Grida Caterina a Cristo: «O pazzo d’amore: non ti bastò incarnare, che anco volesti morire?».