Gesù docente davvero onnipresente

da Il Sole 24 Ore – 5 marzo 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi ripercorre, attraverso l’attività di studio e di ricerca di François Boespflug, i percorsi artistici ispirati all’episodio di Gesù che dialoga con i maestri della legge al tempio di Gerusalemme.

Quella volta il ragazzo Gesù l’aveva fatta grossa: al ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme, anziché raggrupparsi coi suoi genitori Maria e Giuseppe nella folta fila di coloro che riprendevano il cammino del rientro nei propri villaggi, era rimasto nella città santa e s’era incuneato in un’assemblea dei dottori della Legge ebraica. Si può immaginare lo smarrimento, l’ansia, la ricerca affannosa dei genitori, una sequenza di emozioni che si ripetono – naturalmente in contesti ben diversi – anche nelle famiglie attuali, talora con esiti drammatici. È il solo evangelista Luca a rievocare questo episodio (2,41-52), seguito dall’antico Vangelo apocrifo di Tommaso.

Maria con Giuseppe, rientrata di corsa a Gerusalemme, dopo aver cercato invano il giovane Gesù nella carovana dei pellegrini, lo aveva ritrovato nel tempio e lo aveva investito con un rimprovero: «Figlio, perché ci hai trattati così? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!» (2,48). Simone Martini, in una vivace tavola a tempera e oro del 1342, ora a Liverpool, ha quasi “filmato” la scena, forse riproponendola dopo essere tutti ritornati a Nazaret: Maria, seduta, con una mano puntata su di lui rimprovera il figlio che, in piedi, se ne sta sereno a braccia conserte, nonostante al suo fianco Giuseppe lo strattoni e lo fulmini con un volto corrucciato e fin furibondo.

L’episodio evangelico è rubricato sotto il titolo tradizionale di Gesù tra i dottori e non pochi artisti lo hanno immaginato come se si trattasse di un bambino prodigio che interpella e stupisce quegli intellettuali: così, ad esempio, ha fatto Bernardino Butinone in un curioso dipinto su legno del 1480, ora a Edimburgo, ma la scena appariva già in un avorio bizantino del V secolo del British Museum di Londra e in tante altre raffigurazioni. In realtà, Gesù era dodicenne, un’età che allora segnava il passaggio alla maggiore età. In pratica il Bar mitzvah («figlio del precetto») tipico dell’ebraismo attuale.

Non per nulla la sua replica ai genitori era stata aspra e autorevole: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2,49). La versione dell’originale greco può essere anche: «Non sapevate che io devo stare nella dimora del Padre mio?». Una risposta sorprendente e incomprensibile per Maria e Giuseppe, una netta affermazione della sua missione non riducibile alla modesta quotidianità di quella famiglia terrena. Egli rivendicava una dignità che travalicava il suo essere un «figlio», affermando invece di essere il «Figlio» di un Padre trascendente.

Attorno a questa vicenda, che è anche alla base di una festa ortodossa detta «Mezza Pentecoste», è fiorita un’imponente galleria di raffigurazioni artistiche. Ad allestirla in modo coerente e ad approntarne una guida capace di intrecciare note teologiche, iconografiche ed estetiche è possibile solo a uno studioso che unisca in sé le competenze del teologo e dello storico dell’arte. È il caso del francese François Boespflug che già altre volte abbiamo segnalato per alcuni suoi saggi di grande fascino e finezza ermeneutica.

Testo e immagini divengono ora una deliziosa narrazione scandita in quattro tappe: dalla «salita» a Gerusalemme e la successiva «perdita» di Gesù al quadro centrale di Cristo tra i dottori, dal ritrovamento turbolento da parte dei genitori fino al rientro a Nazaret. Lasciamo al lettore di seguire questo racconto testuale e visivo, ricordando solo che in finale l’autore scova la rappresentazione dell’episodio anche in Africa, negli ambienti evangelici americani, nell’arte sacra latino-americana e persino in India e in Cina con He Qi, un originale pittore colpito dalla «rieducazione» di Mao Tse-tung.

A questo punto allarghiamo lo sguardo attorno al tema dell’iconografia sacra e lo facciamo con un’opera fondamentale che dovrebbe essere nella biblioteca di tutti gli studiosi d’arte. È il grandioso saggio che Hans Belting, docente di tre prestigiose università tedesche – Heidelberg, Monaco e Karlsruhe – scomparso lo scorso gennaio, ha dedicato a una «storia dell’immagine prima dell’età dell’arte», come recita il sottotitolo dell’opera posta all’insegna dell’intreccio indissolubile tra l’immagine e il culto nella lontana antichità e nel Medioevo. Il testo originale è del 1990, ha avuto numerose traduzioni, tra le quali si distingue l’attuale italiana che è nuova e rielaborata da Luca Vargiu rispetto alla prima del 2001.

L’orizzonte perlustrato in questa vasta distesa di pagine, impreziosite da una necessaria e mirabile costellazione di foto, è contemporaneamente diacronico e simbolico. Da una parte, infatti, fluisce l’analisi delle varie tappe che procedono dall’iridescenza delle immagini iniziali romane e bizantine, attraversando i tempi oscuri dell’iconoclasmo, scoprendo le variazioni cristologiche e mariane, penetrando nel Medioevo occidentale e approdando alla svolta rinascimentale, segnata dall’aniconismo della Riforma e dall’autonomia dell’arte rispetto al culto (Raffaello insegna).

D’altra parte, però, ci si imbatte in capitoli che sono veri e propri mini-saggi come quelli sulla «pittura animata», sulle icone italiane dell’età comunale (le stupende Madonne di Siena…), sulle immagini per la devozione privata e così via. Un’opera, quindi, frutto di una ricerca incessante, capace di incrociare il particolare col respiro vivente della storia.

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