Terremoto Turchia-Siria: si continua a scavare mentre è già partita la catena di solidarietà

Il 6 febbraio un sisma di magnitudo 7,8 sulla scala Richter ha colpito il nord della Siria e il sudest della Turchia, causando migliaia di feriti e di vittime e una spaccatura nel terreno larga circa 200 metri e profonda 30 vicino ad Antiochia (Hatay in Turco). Il tragico bilancio aggiornato al 10 febbraio era di più di 21.700 vittime, almeno 18.342 morte in Turchia e 3.377 in Siria. Ma più di sette giorni dopo il violento terremoto, il conteggio continua a crescere ed è ancora provvisorio: ad oggi, mentre continuano le ricerche, si parla di oltre 40 mila morti. Una catastrofe devastante che ha distrutto oltre 12 mila edifici, che ha reso inservibili le strade e uno sciame sismico che continua a far paura con 1.600 scosse di assestamento registrate.

Il Presidente turco Erdoğan ha visitato le aree colpite dal sisma l’8 febbraio. Qui il terremoto ha colpito 13 milioni di persone, circa un abitante su sei. Con una popolazione di circa 85 milioni, la Turchia è uno Stato transcontinentale che comprende la penisola anatolica in Asia occidentale e anche una piccola parte europea. A maggioranza musulmana, con piccole minoranze cristiane ed ebraiche, è uno Stato laico, la cui Costituzione prevede la libertà di religione e di coscienza. Tuttavia la censura è un problema nel Paese e molti giornalisti e scrittori sono stati spesso arrestati o processati. Il territorio a sud della Turchia è stato quello ad aver ospitato più profughi durante la guerra civile siriana. La Repubblica Araba di Siria è infatti uno Stato dell’Asia occidentale che confina a nord con la Turchia. Il partito Ba’th che governa il Paese dal 1963, con il regime di Assad è stato più volte criticato per violazioni dei diritti umani, esecuzioni di cittadini e censura. Ma la Siria è inoltre protagonista da marzo 2011 di una guerra civile in cui sono state militarmente coinvolte anche nazioni straniere e durante la quale entità politiche autoproclamate, come lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) hanno occupato alcune zone del territorio. Questa guerra, oltre ad aver causato circa 570 mila vittime e 12 milioni di sfollati, ha reso la Siria il Paese più violento del mondo, tanto che nel Global Peace Index il Paese ha occupato l’ultimo posto dal 2016 al 2018. La città siriana di Aleppo, che già era stata distrutta dalla guerra civile, è stata adesso anche fortemente colpita dal sisma. Un territorio, quello siriano, caratterizzato già da forte instabilità politica quindi, che ha una popolazione già molto provata, ora vittima anche della distruzione provocata dal terremoto.

Ma dentro a quella del sisma c’è anche un’ulteriore tragedia: quella degli sfollati di Idlib e del loro calvario. Infatti nella regione di Idlib, nel nordovest della Siria colpito dal sisma, dove si contano almeno 900 morti e migliaia di feriti, i 4,5 milioni di abitanti della regione si ritrovano senza una casa. Questa è una delle poche zone che non è sottoposta al controllo del regime di Bashar al Assad. I due terzi di queste persone sono sfollati provenienti da altre regioni della Siria, che dipendono quasi totalmente dagli aiuti internazionali che adesso non arrivano più. Davanti alle catastrofi devastanti come questo terremoto, il mondo intero si mobilita per aiutare le vittime e offre il proprio aiuto. Ma anche di fronte a una giusta causa, non tutte le barriere vengono oltrepassate in zone del mondo così complesse, dove gli interessi divergenti e i conflitti sono troppi e troppo importanti. Ci sono quindi vittime che subiscono una doppia tragedia. Non esiste ancora in Siria una soluzione politica che permetta agli sfollati di tornare a casa ma l’importante adesso è permettere l’arrivo degli aiuti umanitari.

Il 9 febbraio è riuscito ad arrivare nel nordovest della Siria, nelle zone controllate dai ribelli, un convoglio di aiuti delle Nazioni Unite mentre le prime squadre di soccorso internazionali sono arrivate in Turchia il 7 febbraio. Esemplare la solidarietà mostrata dai greci, nonostante le tensioni politiche tra i due governi e l’assistenza offerta da tutti i “vicini balcanici”: dalla Croazia che ha inviato una squadra di soccorso, all’Albania che ha offerto attrezzature e personale medico. Oxfam, insieme a cooperative e organizzazioni locali è al lavoro in queste ore per soccorrere 2 milioni di persone fornendo loro riparo, cibo e aiuto psicologico. Stefania Morra, responsabile del programma di azione umanitaria di Oxfam Italia ha dichiarato: «In questo momento tantissimi vivono in auto, nelle moschee, nelle tende, per resistere al gelo della notte hanno solo fuochi accesi per strada. I rifugi allestiti per ospitare chi non ha più una casa, sono sovraffollati. Molti hanno paura di nuovi terremoti e vogliono andarsene, in centinaia di migliaia sono già stati evacuati. Secondo le stime per far fronte all’emergenza potrebbe volerci almeno 1 anno, ma la realtà è che le conseguenze di questa tragedia si faranno sentire per molti anni a venire».

Nella città di Hatay, una delle più colpite insieme alle aree di Gaziantep e Mardin, solo tre ospedali sono rimasti in piedi e le aree urbane sono cumuli di macerie. Ci sono danni diffusi alle scuole, sospese in Siria fino al 18 febbraio e in Turchia, nelle dieci province colpite, fino al 1° marzo, e ad altre infrastrutture essenziali. È ancora presto per parlare di ricostruzione ma il governo di Ankara ha già stimato 50 miliardi di dollari e il Presidente turco Erdoğan ha dichiarato che essere preparati di fronte a un disastro di questa portata non era possibile. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono almeno cinque milioni le persone che si trovano in uno stato di vulnerabilità a causa del terremoto e secondo Unicef sono 7 milioni i bambini coinvolti che hanno bisogno di assistenza umanitaria. Il Ministero della Gioventù e dello Sport, insieme all’Unicef, ha mobilitato circa 7 mila giovani volontari pronti ad affiancare le squadre di intervento locali per portare acqua, medicine e aiuto psicologico a tutte le famiglie che hanno perso le loro case e adesso vivono tra pioggia, neve e gelo in rifugi temporanei. Si lavora anche al ricongiungimento dei bambini separati e non accompagnati. Anche la Chiesa italiana si è messa in movimento con la raccolta fondi della Caritas e con l’iniziativa indetta dalla Cei che prevede una colletta «da tenersi in tutte le Chiese italiane domenica 26 marzo». Inoltre si aggiunge anche l’impegno di uno stanziamento di 500 mila euro dai fondi dell’8xmille.

Forte il dolore di Papa Francesco che ha rivolto le sue preghiere ai defunti e ai loro familiari e al personale d’emergenza impegnato nei soccorsi. Il Pontefice, che aveva inviato due telegrammi ai nunzi apostolici di Turchia e Siria «assicurando la sua vicinanza spirituale», ha dichiarato su Twitter: «Sono vicino con tutto il cuore alle persone colpite dal terremoto in Turchia e Siria. Continuo a pregare per quanti hanno perso la vita, per i feriti, i familiari, i soccorritori. L’aiuto concreto di tutti noi li possa sostenere in questa immane tragedia».

 

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