Papa Francesco, pellegrino di pace in Kazakhstan

La maggioranza dei cristiani in Kazakistan sono ortodossi (circa il 24% della popolazione) mentre i cattolici rappresentano decisamente una minoranza, circa l’1,5%, rispetto ad una popolazione per la maggior parte di fede musulmana. Il Paese, la più grande repubblica dell’Asia centrale, caratterizzata da una grandissima diversità religiosa e da importanti snodi geopolitici, ha alle spalle una storia di persecuzioni e repressioni anche se alternate a periodi di apertura al dialogo interreligioso. Un Paese che oggi si affaccia ad una nuova vita con una riforma Costituzionale che archivia definitivamente il lungo periodo di potere dell’ex presidente Nazarbayev, segnato da numerose rivolte e numerosi morti.

Se armonia e tolleranza sono i principi alla base dell’Enciclica “Fratelli tutti”, così come dello storico documento “Sulla fraternità umana a favore della pace e della pacifica convivenza”, approvato anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2020, questo Paese, caratterizzato da una grande diversità religiosa, non poteva non essere la destinazione del trentottesimo viaggio internazionale di Papa Francesco, che si è svolto dal 13 al 15 settembre, e che ha avuto come tema portante la pace. Ma un secondo motivo altrettanto importante ha portato il Pontefice ad effettuare questo viaggio storico nella più grande repubblica dell’Asia centrale: la VII edizione del Congresso dei Capi religiosi mondiali per promuovere la pace e il dialogo, a cui ha partecipato anche il grande imam di Al Azhar, Al Tayyeb. Grande assente invece il patriarca russo ortodosso Kirill, anche se è stata presente una delegazione del Patriarcato di Mosca. Dal primo Congresso nel 2003, voluto già alla fine degli anni ’90 dal primo presidente del post regime sovietico, Nazarbayev, con lo scopo di risanare le ferite causate da anni di guerra Fredda e ateismo, l’evento si tiene ogni tre anni nella capitale kazaka Nur-Sultan.

Ci sono troppi odi e divisioni, troppa mancanza di dialogo e comprensione dell’altro – ha detto Papa Francesco in chiusura dei due giorni del Congresso – questo, nel mondo globalizzato, è ancora più pericoloso e scandaloso. Non possiamo andare avanti collegati e separati, connessi e lacerati da troppe disuguaglianze”. E ha identificato tre parole chiave per raggiungere il dialogo tra i popoli. “La prima è la sintesi di tutto, l’espressione di un grido accorato, il sogno e la meta del nostro cammino: la pace”, la seconda parola è donna perché, spiega il Pontefice, “Se manca la pace è perché mancano attenzione, tenerezza, capacità di generare vita. E dunque essa va ricercata coinvolgendo maggiormente la donna. Perché la donna dà cura e vita al mondo: è via verso la pace”. Infine la terza parola individuata da Papa Francesco per il percorso verso il dialogo tra i popoli è giovani: “Sono loro i messaggeri di pace e di unità di oggi e di domani. Sono loro che, più di altri, invocano la pace e il rispetto per la casa comune del creato. Invece, le logiche di dominio e di sfruttamento, l’accaparramento delle risorse, i nazionalismi, le guerre e le zone di influenza disegnano un mondo vecchio, che i giovani rifiutano, un mondo chiuso ai loro sogni e alle loro speranze. Così pure religiosità rigide e soffocanti non appartengono al futuro, ma al passato. (…) E ascoltiamoli, senza paura di lasciarci interrogare da loro. Soprattutto, costruiamo un mondo pensando a loro!