Musiche visionarie: in ascolto dell’Invisibile…

10 Novembre 2014. Poco più di duecento studenti di Roma, provenienti dai licei Aristofane, Dante, Mamiani, Russell e Tasso, hanno partecipato al secondo Cortile degli Studenti, già presentato da Fabio Colagrande all’interno del suo programma radiofonico ‘Al di là della notizia’ e dedicato alla musica. Luogo artistico – potremmo dire con Paul Klee – in grado di “rendere visibile l’invisibile”. Spazio emotivo – hanno aggiunto i ragazzi seduti su un tappeto di cuscini colorati – capace di evocare desideri, sogni e inquietudini propri di ogni essere umano. Se il primo Cortile degli Studenti, focalizzato sull’impegnativo tema del rapporto tra economia, solidarietà e futuro della società, si era svolto nella grande sala all’ingresso del museo MaXXI – quasi a segnare l’aspetto terreno dei problemi affrontati -, questo incontro è invece avvenuto al piano superiore nella sala auditorium, illuminata da una grande vetrata che corre per un lato intero, ed inclinata verso il basso. Là si sono posizionati gli ospiti, quasi ad indicare il ruolo che da sempre la musica ha avuto: mettere in relazione terra e cielo, ricerca di senso e spiritualità.

Questo rapporto originario tra musica e religione è stato mostrato da Gianfranco Ravasi [15:05-23:05], attraverso un piccolo ‘filmato’ in tre scene. Nella tradizione cristiana, per come è testimoniata dalla Genesi al Vangelo di Giovanni, l’atto della creazione, l’inizio è costituito da un evento sonoro (e non, come ad esempio in Mesopotamia, da un combattimento mortale). Nella tradizione greca, rappresentata dal ‘IV Inno’ di Omero – rivolto ad Ermes che inciampa su un guscio di tartaruga, sente su di esso dei fili, li tocca e scopre che suonano -, è la Natura che porta dentro di sé la musica, l’armonia, mentre l’uomo ha il compito di estrarla. Nella tradizione indiana, narrano i Rig-Veda, all’inizio dell’Essere vi è un suono veemente, una sorta di rombo, che poi si frammenta in tanti suoni diversi, i quali, risuonando a loro volta, si cristallizzano lentamente in un albero, nell’acqua, in un fiume, nell’uomo. Sarà quest’ultimo, cantando, a concludere il ciclo della creazione. D’altronde, Genesi 28 narra di una scala sognata da Giacobbe su cui scendono e salgono gli angeli, collegando cielo e terra. Per la tradizione giudaica tale scala sarebbe rimasta sulla terra sotto forma, appunto, di scala musicale. Per questo le sette note sono diventate la via per passare dalla terra al Mistero – a quell’Oltre che il credente chiama Dio -; per questo la musica è diventata l’esperanto dei popoli, la loro vera lingua comune.

D’altra parte, ha sottolineato Giuliano Amato [8:20-13:45], la realtà quotidiana, con l’attuale e diffusa solitudine, indifferenza, addirittura violenza omicida “in nome di quel poco che ci divide”, potrebbe far nascere in noi il legittimo sospetto che la vita sia insensata. La speranza, tuttavia, potrà sorgere quando si deciderà di “scoprire il tanto che ci unisce”, a partire dalla bellezza della musica, e quando si supererà l’impulso a riconoscere esclusivamente se stessi, come in fondo – ha notato bonariamente Amato – hanno fatto gli studenti stessi al momento della presentazione nell’applaudire esclusivamente la propria scuola. Ma affinché tutti applaudano tutti, è necessario seguire un’antica indicazione di Danno e Piotta: “disimparo quello che ho imparato per salire”. Così, come segnalato da Giovanna Melandri [3:40-8:20] per le installazioni sonore che ‘riempivano’ gli spazi del MaXXI di null’altro che il suono, è stato necessario ‘svuotare’ vista e udito da pregiudizi e precomprensioni. Sulla scia di un Philippe Rahm – che ha ‘scomposto’ e ‘ricomposto’ una sonata di Debussy -, ovvero di un Ryoji Ikeda – che ha fatto risuonare in una sorta di oceano sonoro la nota LA del diapason, al fine di evocare la verità assoluta dell’origine del mondo e la sua trasformazione nelle molteplici variazioni umane.

Ben preparati a tale esperienza dai professori Antonella Lombardi, Emanuela Giappichelli, Giuseppe Stinca, Fiorella Magnano e Massimo Pieggi, gli studenti, pur con qualche timidezza iniziale, hanno dialogato – liberamente ed in profondità – con gli artisti, portatori tutti di convinzioni esistenziali diverse e non necessariamente ‘accordabili’, cercando di sintonizzarsi con essi e tra di loro su di una comune – o meglio poliedrica (direbbe Francesco) – lunghezza d’onda. ‘Cose preziose’ – cantava Kaos – sono state dette (e non dette) sulla musica, da parte di Piovani, Phil Palmer, Venditti, Roberto Kunstler, Piotta e Valentina Parisse. Ascoltiamole qui nel video curato dal MaXXI. Vediamole, di seguito, nel dialogo trascritto per voi…

sergioventura@cortiledeigentili.com

Dialogo

Per rompere il ghiaccio, abbiamo chiesto agli ospiti cosa fosse per loro la musica [29.30-55.00]. Per la giovanissima Valentina Parisse essa è un rifugio per sentirsi meno soli, dato che ci accompagna nei momenti felici ed in quelli tristi della vita, ma soprattutto, ricordano Phil Palmer e Roberto Kunstler, la musica è un linguaggio ispirato che coinvolge e dilata tutti i sensi e, grazie alla sua capacità di parlare al cuore, allarga il campo della percezione e della conoscenza, andando oltre la sfera dell’intelletto e delle parole stesse, potenzialmente pericolose quando sono menzognere. Per questo, afferma Nicola Piovani, bisognerebbe opporsi al diffuso costume di usare la musica come ‘carta da parati’ o ‘sottofondo da ristorante’, poiché questo fruire la musica in modo irrelato proviene proprio da quel linguaggio pubblicitario smembrato e destrutturato che ormai si estende in tutti gli ambiti, privandoli di contenuti dialogici o di quei linguaggi articolati che invece hanno bisogno di concentrazione. La musica – rivendica il premio Nobel – va invece rispettata ed ascoltata, dall’inizio alla fine, così come l’ha concepita e pensata l’autore. D’altra parte, ha polemizzato garbatamente Venditti, deve essere rispettata anche l’interpretazione e la rielaborazione personale della musica. A partire dalle reazioni personali, infatti, possiamo individuare musiche del potere, conservative, indotte e solo perciò di successo, insieme a musiche del contropotere, rivoluzionarie, critiche e che perciò implicano delle scelte. Non si può stare tutti dalla stessa parte – afferma il cantautore romano – pur potendo comprendere l’altro, poiché musiche e parole combattono sempre altre musiche ed altre parole. In mezzo a questo conflitto, forse, un ascoltatore con spirito critico, deciderà un giorno di realizzare e condividere la sua musica. Quella musica, però, sarà buona, sarà condivisione e non scontro, se la sua vita sarà buona. Se egli, come dice Dio attraverso l’immagine della scala (volente o nolente aperta), metterà la sua musica ovunque per darci una mano. La musica allora – ha concluso il Piotta – è in realtà un viaggio, frutto di una scelta coraggiosa, non solo fuori di sé attraverso posti inimmaginabili da giovani, ma anche dentro di sé: un passepartout per comunicare, per creare confidenza, soprattutto per entrare in intimità con gli altri e con quella parte di sé, timida, che sempre con difficoltà si racconta. Perciò la musica per il nostro rapper è stata, anche come opportunità lavorativa, la salvezza – dalla noia, dalla frustrazione, da un lavoro che non gli sarebbe piaciuto -, ciò che lo ha fatto essere, al di là dello stress e delle tensioni, un uomo felice.

Subito è emerso, però, che la musica non è solo cura dell’interiorità, ma anche collaborazione [1.01.10-1.21.45]. In altri termini, si è affrontato il tema della contaminazione – antico come il mondo, ha sottolineato Kunstler, essendo presente sin dai miti fondativi sulla creazione del mondo nelle figure del buono e del cattivo, del salvatore e del suo disturbatore. Essa – per dirla con le parole di Piovani – è paragonabile ad un virus che entra in un corpo sano, ma senza sapere chi è il virus e chi il corpo sano, e con il fine di dare vita ad una scintilla nuova (come avvenne per la nascita del jazz); perciò la contaminazione ha sempre reso fertili le identità culturali quando si sono incontrate e confrontate. Solo così, secondo Phil Palmer, la collaborazione può diventare condivisione e trasmissione generazionale, una sorta di ‘mangiare e bere insieme a tavola’ con un ‘com-pagno’ – ha chiosato il Piotta; anche con chi è dissonante, anche con il nemico – ha ribadito Venditti. In tal senso quest’ultimo vede come legati indissolubilmente Giuda a Gesù, perché se è vero che Giuda ha peccato di presunzione, avendo giudicato e tradito Gesù, è soprattutto vero che se noi non lo salviamo (essendosi inoltre pentito), che cosa resta dell’infinita pietà, carità e perdono – cioè dell’amore – predicato da Gesù verso le nostre difficoltà, sofferenze, imperfezioni, handicap, disagi? Cosa resta del nostro (femminile) sentimento religioso di fronte al potere (maschilista) che ci sovrasta?

Non sembri strano questo riferimento al Potere [1.21.50-1.46.10]. Secondo Venditti, infatti, vi sono musiche del ’potere’, conservative, indotte e solo perciò di successo che ‘combattono’ con musiche del ’contropotere’, rivoluzionarie, critiche – anche se ultimamente, di fronte all’attuale crisi economica, lo stesso Venditti si è reso conto che la rivoluzione come cambiamento immediato è qualcosa di egoistico, poiché solo nelle piccole e lente evoluzioni tutti vengono coinvolti solidariamente. In ogni caso, ciò significa che fare musica implica delle scelte. A tal proposito Piovani ha ricordato come de André prendesse posizioni politiche, non solo cantando gli eventi significativi del suo tempo, ma anche testimoniando personalmente attraverso una coerenza – mai esibita! – tra le sue idee e i suoi comportamenti. Questo aspetto della coerenza, poi, è risultato fondamentale per Piovani ogniqualvolta si è trovato di fronte alla difficile scelta tra la ‘convinzione’ e la ‘convenienza’ – criterio di giudizio utilissimo per demistificare ogni tipo di argomentazione. In tal senso il Piotta, rispondendo ad una domanda con un verso di una sua canzone, ha esclamato: “Sì! ‘Un uomo solo può essere più forte di un Impero’…”. E per questo, ha esortato Kunstler, ognuno di noi dovrebbe spegnere le televisioni: ci accorgeremmo che la musica non è solo quella imposta al pubblico dall’alto delle televisioni, ma che ve n’è molta nei piccoli locali e per strada… basta cercarla! Per questo, ha incalzato Venditti, bisogna resistere alla chiusura dei luoghi in cui si fa manualmente la musica, bisogna resistere al predominio dei produttori sugli artisti e sui compositori, ai talent-show, alle multinazionali ed al loro uso subdolo della musica gratuita (in ciò appoggiato da Piovani). In definitiva, ha concluso Piotta, se si vuole proteggere chi ha un progetto serio, con contenuto e suono proprio, è necessario combattere il pensiero per il quale ‘tutto è adesso e subito’ a discapito del percorso che ha fatto sì che si arrivasse a quel punto, e nel quale ciascuno è figlio, erede di qualche artista precedente fino a risalire alla musica come incipit originario.

Ed è stato proprio il Piotta a portare la discussione sul terreno dei valori [1.46.25 – 2.13.15], ricordando che c’è una responsabilità verso i giovani nell’uso del microfono, anche da parte dell’hip-hop italiano che oggi rischia di degenerare in usi e costumi propri di quell’edonismo ormai diffusosi tra il popolo e nella politica. D’altra parte, ha aggiunto Piovani, solo un orecchio capace di riconoscere e ascoltare i buoni maestri può aiutare la Fortuna a farci incontrare gli ‘angeli custodi’ giusti. O addirittura Dio. Perché la musica, secondo Venditti, può essere una forma di preghiera, a volte adirata o disperata: perché Dio non risponde, perché facciamo le domande sbagliate, perché non capiamo la risposta o perché Dio non fa quello che diciamo noi secondo la nostra interpretazione di Dio. Questo perché, ha ricordato Phil Palmer, s’intenda la musica come un dono, una vocazione (spirituale) o un talento (terreno), essa è comunque un fuoco da coltivare. Soprattutto attraverso un lavoro su di noi che ci permetta di essere sensibili e attenti a ricevere i segnali invisibili ma presenti nel cosmo per poi ritrasmetterli: una sorta di sciamanico “farsi antenna”. Dei messaggi di chi? Di un Padre della notte? Forse. Parola di Kunstler.