L’ingresso dei Balcani nell’UE

Se oggi viviamo in condizioni di pace e di stabilità, lo dobbiamo al coraggio e alla dedizione di grandi visionari, che si sono adoperati per porre fine agli orrori delle guerre e che hanno ispirato l’Europa come la conosciamo oggi, fondata su valori fondamentali come libertà, democrazia ed uguaglianza, solidarietà e rispetto della dignità e dei diritti umani.

Al momento sono 27 gli Stati Membri dell’Unione Europea, l’ultimo dei quali, la Croazia, arrivato nel 2013. Nel 2022 però, a causa del conflitto russo-ucraino, l’ingresso dei paesi dei Balcani è tornato nell’agenda europea. Diventare Stato Membro, però, non è affatto semplice; l’iter per l’ingresso nell’Unione è piuttosto complesso e si articola in quattro fasi: la domanda, lo status di candidato, i negoziati e infine l’adesione. Molti Stati sono in attesa da anni, ad esempio la Turchia (dal 1999), la Macedonia del Nord (dal 2004), il Montenegro (dal 2010), la Serbia (dal 2012) e l’Albania (dal 2014).

In quest’ultimo anno sono stati fatti moderati passi avanti per quanto riguarda gli ultimi paesi balcanici. Lo scorso 15 dicembre, alla Bosnia-Erzegovina è stato concesso lo status di paese candidato all’adesione all’UE, a patto che attui misure incentrate sul rafforzamento dello Stato di diritto, sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, sulla gestione della migrazione e sui diritti fondamentali. Nonostante abbia presentato domanda di adesione nel 2016, la Bosnia-Erzegovina è fortemente penalizzata dagli strascichi del sanguinoso conflitto che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, a seguito del quale il paese è stato riorganizzato in una federazione con l’obiettivo di garantire una pacifica convivenza fra le comunità serba, croata e musulmana che compongono la società bosniaca. L’ingresso della Bosnia Erzegovina permetterebbe di chiudere un doloroso capitolo della storia europea e consolidare nella regione i valori di pace, democrazia e società aperta che costituiscono le basi del processo di integrazione.

Anche il Kosovo ha presentato la sua richiesta di adesione lo scorso 15 dicembre, dopo essere stato ufficialmente riconosciuto dalla Commissione europea come stato “potenziale candidato”, ma affinché gli venga concesso lo status di candidato, sia la Commissione che i 27 Stati Membri del Consiglio devono dare la loro approvazione all’unanimità. Quest’ultimo punto è il più problematico poiché lo status attuale del Kosovo non è riconosciuto uniformemente da parte della comunità internazionale, e cinque stati membri dell’Ue – Cipro, la Grecia, la Romania, la Repubblica Slovacca e la Spagna – non ne riconoscono l’indipendenza dalla Serbia, dichiarata nel 2008.

In una lettera scritta in occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Unione Europea, Papa Francesco ha precisato che quella europea «non può essere un’unità uniforme, che omologa», ma al contrario «dev’essere un’unità che rispetta e valorizza le singolarità, le peculiarità dei popoli e delle culture che la compongono». La sfida quindi è promuovere «l’unità nella diversità» ed in questo quadro il primo compito della Chiesa «è quello di formare persone che, leggendo i segni dei tempi, sappiano interpretare il progetto Europa nella storia di oggi».

 

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