Le nuove povertà

Nuove povertà. Con questa espressione si fa riferimento a soggetti che si trovano in una condizione di vulnerabilità, vale a dire che hanno un percorso lavorativo precario e instabile o che sperimentano al livello delle relazioni sociali un senso di insicurezza e fragilità. Andando ad analizzare l’attuale situazione economica italiana ed europea, il dato che maggiormente impressiona è quello riferito alla popolazione “quasi povera”. Oggi il 7,6% della popolazione italiana viene definita “quasi povera”. Le famiglie relativamente povere sono l’11,1%, mentre quelle povere in termini assoluti sono il 5,2%. Questo è il quadro amaro che forniscono i dati Istat, dopo che gli individui sono sempre più esposti a disoccupazione e crisi economica.

Come ha scritto Bauman nel suo “Le nuove povertà”, Castelvecchi Editore (2018), se un tempo la povertà era legata prevalentemente alla disoccupazione, oggi è invece legata soprattutto ai livelli di consumo. Ed essere poveri in una società consumistica, che ritiene cruciali le scelte del consumatore molto più che le competenze professionali, significa dover far fronte con un nuovo sguardo etico a rinnovate sfide sociali: welfare, occupazione e marginalità. Il Covid, inoltre, ha senza dubbio accentuato la diseguaglianza economica e sociale in Italia. E la povertà è diventata un evento familiare anche nella classe media. Coinvolge persone che fino a poco tempo fa avevano una vita professionale stabile ed erano inserite in un normale contesto sociale.

Ma chi sono i nuovi poveri? Quanti sono coloro che si confrontano oggi con situazioni di disoccupazione e precarietà e che hanno un percorso lavorativo incrinato? Quali sfide si ritrovano a dover affrontare? La popolazione senza reddito da lavoro, di cui gli anziani e in generale la popolazione marginalizzata fanno parte, rientra nei tradizionali profili di povertà. Ma oggi, in seguito alla contrazione dei consumi e alla precarizzazione delle situazioni di lavoro, la pandemia ha fatto emergere una nuova categoria di poveri: si tratta di persone che lavorano, occupate ma con un reddito insufficiente. Giovani coppie con figli che hanno visto improvvisamente peggiorare le proprie condizioni di vita. Da un lato dunque i profili classici della povertà: la popolazione vulnerabile, marginalizzata e senza reddito da lavoro, perlopiù anziana; dall’altro un profilo emergente che comprende i “nuovi poveri”: giovani con un impiego e con un’età media intorno ai 40 anni.

A rendere reale questa amara fotografia le affermazioni del sociologo e collaboratore di Caritas Italiana Matteo Luppi: «Il problema più recente, in Italia, sono i nuovi profili dei giovani poveri, in un Paese secondo solo al Giappone per anzianità degli abitanti e con una previsione di crescita degli ultraottantenni da qui al 2070 del 280%, a fronte di un aumento di popolazione in età lavorativa di solo il 20%. La povertà non si affronta solo per fasce di età o in relazione all’occupazione, ma va trattata anche in termini di dinamiche intergenerazionali, con uno sguardo al lungo periodo».