L’azione vive fra libertà e limiti umani

da Il Sole 24 Ore – 6 novembre 2022 – di Gianfranco Ravasi

 

In questo articolo il Cardinal Ravasi affronta il tema di come Dio, attraverso Cristo, sia partecipe del destino degli uomini.

È stato costretto lui stesso a scrivere una guida intitolandola Il filo d’Arianna attraverso la mia opera (Jaca Book 1980) proprio perché la sua mastodontica produzione teologica era tale da sembrare un labirinto nel quale, senza mappa, ci si sarebbe smarriti. Stiamo parlando di uno dei maggiori teologi del Novecento, lo svizzero di Lucerna (1905) Hans Urs von Balthasar. Il papa Giovanni Paolo II l’aveva preconizzato cardinale, ma egli morì a Basilea il 26 giugno 1988, due giorni prima del concistoro che l’avrebbe insignito della porpora.

L’originalità della sua opera dipendeva anche dalla formazione polimorfa che aveva intrecciato agli studi teologici quelli filosofici, umanistici, letterari e persino musicali, così da creare un approccio a temi religiosi secondo prospettive molteplici e spesso inedite. Sorgeva, così, una sorta di cattedrale a tre navate intitolate Gloria, TeoDrammatica, TeoLogica, la cui edificazione, iniziata nel 1961, fu completata dopo 15 tomi imponenti e fittissimi solo nel 1987, un tempio orientato verso l’abside ove appariva gloriosa la figura unica e insuperabile di Cristo, la parola umana di Dio al mondo. L’intenzione era chiara: «demolire gli artificiosi muri di angoscia che la Chiesa aveva eretto attorno a sé contro il mondo».

Liberata da questa autoreclusione, essa poteva inoltrarsi senza riserve, timori ed esitazioni lungo le vie della storia e della cultura, tenendo fisso lo sguardo a una costellazione triadica universale: il verum, ossia la logica, il bonum, cioè l’etica, e infine – stella prevalentemente ignorata dai teologi – il pulchrum, l’estetica. Non per nulla la prima sezione della citata trilogia balthasariana, Gloria, era sottotitolata Estetica teologica (sette tomi 1961-1969), affidata appunto al trascendentale della pulchritudo, quella bellezza artistica che nel Medio Evo era considerata una via nobile per accedere al mistero divino.

Come per altri grandi personaggi della teologia contemporanea, a farsi carico della stremante impresa della traduzione dal tedesco è stata l’editrice milanese Jaca Book sotto la guida del suo artefice Sante Bagnoli. Il coraggio è stato premiato perché si è registrato anche il fenomeno delle riedizioni. È il caso che ora presentiamo e che riguarda il secondo blocco della trilogia, la TeoDrammatica(cinque volumi, 1973-1983), offerta per la terza volta dopo il 1986 e il 1995. All’estetica di Gloria subentra ora l’etica del bonum che vede l’ingresso di Dio nella storia all’insegna dell’amore e della grazia (Solo l’amore è credibile, s’intitolava un saggio di von Balthasar già nel 1963). Un ingresso «drammatico» perché vede l’incontro dialettico con la libertà e il limite umano.

Si passa, così, dalla visione «estetica» (in greco «contemplazione, comprensione») all’azione, alla decisione, al contrappunto tra libertà divina e autonomia umana. Al Dio impassibile greco o a quello assolutamente trascendente dell’islam si sostituisce un Dio che, pur non perdendo il suo essere «sopra» il dramma della storia, s’impegna all’interno di essa in modo «patetico», cioè partecipe e dinamico, in Cristo, senza però perdersi e dissolversi, come accade nelle forme immanentistiche o mitiche o storicistiche. I cinque volumi della TeoDrammatica scandiscono soggetti e tappe di questo coinvolgimento. Innanzitutto entrano in scena gli attori di questo dramma che sono Dio, Cristo e l’umanità. Si punta, poi, a creare un affresco dell’«azione» che essi sviluppano nella storia.

Da un lato, si intuisce l’impegno forte e appassionato della stessa divinità, ma d’altro lato anche la tensione che viene generata dalla reazione umana, tanto che «la rivelazione diventa un campo di battaglia», ed esemplare in questo senso è l’Apocalisse. Suggestiva è un’affermazione sintetica del teologo svizzero: «La rivelazione biblica è fuoco fiammeggiante…, mai potrà ridursi a illuminismo». Questa concezione ci conduce al tomo conclusivo della TeoDrammatica, il quinto, che mette in scena «l’ultimo atto» che sigilla e suggella la trama della storia.

È il capitolo escatologico che, a suo tempo, ha suscitato discussioni anche fuori del recinto teologico. A partire da s. Agostino transitando per s. Tommaso d’Aquino, per giungere a Calvino e al pessimismo di un certo pensiero attuale, si è irrobustita una traiettoria ermeneutica di taglio giudiziario «infernalistico». In essa l’approdo della vicenda universale umana obbedisce a due canoni antitetici: la dannazione infernale o la gloria paradisiaca, sulla base delle opposte opzioni esistenziali personali. A partire, invece, da altri Padri della Chiesa si è sviluppata una diversa linea interpretativa della stessa meta finale, denominata dell’«apocatastasi». Essa celebra una «riconciliazione» suprema da parte del Dio misericordioso: si autorizzerebbe, perciò, una speranza salvifica universale, per cui – come si usava semplificare – l’inferno sarebbe vuoto.

Von Balthasar cerca di procedere sul crinale delle due tesi sostenendo «il dovere di sperare per tutti», ma cercando anche di non elidere uno dei due versanti, la giustizia e la misericordia divina, convinto che su questo tema è possibile usare soltanto «termini stupefatti e balbettanti che s’appoggiano ad alcune lampeggianti parole e allusioni della Sacra Scrittura».

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