07 Dic L’abito non fa il monaco
“L’abito non fa il monaco” ma a quanto pare i sacerdoti di moda ne sanno granché. Lo scorso 26 ottobre il “Cortile dei Gentili” e l’Ambasciata Italiana presso la Santa Sede hanno organizzato l’evento “Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche e li vestì (Gen. 3,21) – La moda, tra etica, estetica e spiritualità”. Partendo proprio dalla lettura di alcuni passi della Bibbia, il Cardinale Gianfranco Ravasi ha proposto una riflessione etica-religiosa, dimostrando che è possibile assumere la moda non soltanto come componente realistica ma anche come componente simbolica, raccontata in primis nei testi sacri (che offrono a tutti gli effetti uno sterminato guardaroba) in cui il realismo del rivestimento trapassa il simbolo. Fuori dai riferimenti teologici poi, basti pensare al nesso linguistico tra il termine latino vestis, “veste”, e la parola “investitura”, vocabolo che indica la nomina a un incarico ufficiale; l’abito, attraverso la sua dimensione simbolica, appartiene alla cultura e la rappresenta.
La conversazione infatti, ha approfondito le diverse forme di creatività, la ricerca della bellezza, il senso della tradizione e l’importanza dell’innovazione, concentrandosi sull’etica, la sostenibilità, la diversity, l’inclusion e il digitale, soprattutto alla luce dei cambiamenti imposti dall’emergenza sanitaria. Tra gli ospiti Lavinia Biagiotti, Presidente e CEO di Biagiotti Group, ha sottolineato che è in atto un cambiamento culturale produttivo e distributivo che ha come bussola la sostenibilità mentre, Stefano Dominella, Presidente della Maison Gattinoni Couture, ha ricordato che l’abbigliamento può innescare rivoluzioni pacifiche e se negli anni ’70 si trattò di battaglie culturali, ora bisogna impegnarsi per l’ambiente e per una maggior equità sociale. Il dibattito infatti, si è infervorato quando si è toccato il tema del cosiddetto “fast fashion”, termine usato per indicare la produzione di capi a basso costo che rispondono ai canoni in voga. La questione, assai nota soprattutto tra i più giovani e sensibili all’argomento, riguarda il compromesso tra la disponibilità economica e la possibilità di acquistare capi piacevoli che non impattino sull’ambiente. Giulia Crivelli, Fashion editor Moda 24 – Il Sole 24 ORE, è intervenuta sul “sostenibile non è bello” spiegando il potenziale che esiste nel settore Ricerca e Sviluppo, che potrebbe rappresentare un volano per l’economia del nostro Paese; al tempo stesso ha fatto un invito alla cautela sul “fast fashion” per non rischiare di scadere in discorsi elitari: molte infatti, sono le persone che non possono accedere a prodotti di alta qualità (che rispettino l’ambiente).
L’epilogo è stato affidato a Mons. Carlo Maria Polvani, Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura e Responsabile del “Cortile dei Gentili”, che – citando John Flüegel, il primo psicologo ad aver studiato sistematicamente l’effetto del vestito – ha chiuso il sipario con queste parole: “Ci sono tre elementi nella moda: l’elemento biologico-fisiologico avendo noi perso il pelo dei nostri antenati primati, l’elemento etico che ci dice di coprire alcune parti del corpo e l’elemento della socialità. L’intuizione sta nel comprendere che è l’intreccio fatale di questi elementi a rendere la moda una bomba!”.
In conclusione, che la moda risvegli i nostri animi latini (ancor di più italiani) è fuor di dubbio ed è proprio per questa ragione che l’impegno è richiesto indistintamente a produttori e consumatori; questi ultimi – categoria a cui tutti apparteniamo – non devono mai dimenticare che orientando i propri acquisti in senso critico possono essere cittadinanza attiva per un cambiamento sociale e perché no, anche ambientale.
Giulia Bulckaen