La lingua parlata da Gesù

da Il Sole 24 Ore – 8 ottobre 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo estratto del nuovo volume in uscita il 10 ottobre, il Cardinal Ravasi racconta di come il figlio di Dio imparò l’ebraico nella scuola sinagogale di Nazaret per poter leggere le Scritture.

Quali lingue parlava Gesù? Sapeva davvero leggere e scrivere? Il primo quesito può emergere quando nel Vangelo di Giovanni si narra che Gesù aveva incontrato un gruppo di greci nel tempio di Gerusalemme, forse nel cosiddetto «Cortile dei gentili», ove potevano entrare anche le gentes, ossia i pagani (12,20-28). O quando si racconta il suo dialogo col governatore Pilato durante il processo romano (18,33-38). La questione si pone per le quattro lingue che erano in vigore nella Palestina di allora: il greco, l’ebraico, l’aramaico e il latino. Non si dimentichi, infatti, che il “titolo” della croce della condanna di Cristo era – secondo Gv 19,20 – anche in latino. Tuttavia, quest’ultima lingua era quasi esclusivamente usata dalle forze di occupazione romane: la rosa, perciò, si restringe alle altre tre.

Il greco veniva usato nell’Impero romano come lingua franca, una specie di inglese di allora. A Gerusalemme era conosciuta dalle alte classi soprattutto per le transazioni commerciali; il popolo si accontentava dell’indispensabile per comunicare con i «gentili», cioè con gli stranieri presenti in Palestina. È probabile, perciò, che anche Gesù usasse un po’ di greco – lingua poi adottata dal Nuovo Testamento per una comunicazione più universale – quando aveva contatti con non ebrei e forse durante il dialogo processuale con Pilato.

L’ebraico subì un declino dopo l’esilio babilonese, sostituito nell’uso comune dall’aramaico, la lingua più comune nell’antico Vicino Oriente di allora. Tuttavia, non si estinse mai come lingua scritta (oltre che come lingua liturgica), secondo quanto è attestato dalle famose scoperte di Qumran, presso il Mar Morto. L’ebraico era una lingua colta, usata nelle discussioni esegetico-teologiche e dai gruppi elitari di ebrei rigorosi e zelanti, come appunto quelli di Qumran. Gesù, probabilmente, lo imparò nella scuola sinagogale di Nazaret per poter leggere le Scritture. Al massimo potrebbe aver usato parzialmente l’ebraico nelle controversie teologiche con gli scribi e i farisei riferite dai Vangeli. Tuttavia, come maestro che parlava alla massa dei contadini, dei pescatori e degli artigiani giudei comuni, Gesù ricorreva alla loro lingua quotidiana che era l’aramaico.

Uno studioso tedesco, Joachim Jeremias, escludendo nomi propri e aggettivi, contava 26 parole aramaiche attribuite a Gesù dai Vangeli o da fonti rabbiniche. E identificava l’aramaico di Gesù come una versione galilaica dell’aramaico ufficiale, tant’è che, durante il rinnegamento di Pietro, gli astanti accusano l’apostolo così: «È vero: anche tu sei uno dei discepoli di Gesù il galileo. Infatti, il tuo modo di parlare ti tradisce» (Mt 26,73).

Gesù, poi, sapeva leggere e scrivere? Tenendo conto del rilievo che nell’antico Vicino Oriente aveva la cultura orale, per rispondere al quesito ci sono tre passi evangelici da verificare. Nel Vangelo di Giovanni si ha questa osservazione dei Giudei di Gerusalemme: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?» (7,15). Di per sé l’espressione «conosce le Scritture» in greco (grámmata ói-den) potrebbe anche significare semplicemente: «sa leggere». In realtà, però, l’obiezione è rivolta contro Gesù come un’accusa – insegnare in pubblico – senza aver frequentato la scuola di uno dei vari rabbí o maestri importanti di allora. La dichiarazione, quindi, vorrebbe solo affermare che Gesù aveva un livello sorprendente di cultura teologica.

Che egli sapesse leggere appare chiaramente dal testo già citato di Luca (4,16-30): a Nazaret, di sabato, «si alza a leggere il rotolo del profeta Isaia, aprendolo al passo dov’era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me…» (Is 61,1-2). Al termine, «arrotola il volume, lo consegna all’inserviente» e inizia a tenere quell’“omelia” che susciterà una forte reazione tra i suoi compaesani. Cristo, dunque, sapeva leggere. Ma riusciva anche a scrivere? Le due cose non erano necessariamente connesse: spesso l’apprendimento nella scuola sinagogale avveniva secondo il metodo orale, ricorrendo alla fertile vitalità della memoria, soprattutto semitica.

L’unico cenno, in verità molto vago, alla capacità di scrivere di Gesù lo si ha in un terzo passo. Nel Vangelo di Giovanni si ricorda che, davanti all’adultera e ai suoi accusatori, Gesù «si era chinato e scriveva in terra col dito» (8,6). Si sono sprecate le ipotesi su quelle scritte misteriose. C’è chi ha pensato alla ripresa di testi biblici. Altri hanno ipotizzato un’anticipazione delle sue parole successive: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». La soluzione più probabile, però, potrebbe essere quella di ritenere che Cristo tracciasse solo linee o lettere casuali. Non si avrebbe, quindi, neppure qui una precisa e diretta attestazione su una capacità di scrittura da parte del Gesù storico.

È una avventura curiosa la conoscenza delle lingue originali della Bibbia. L’aggettivo «curioso» ha alla base il latino cura che implica impegno, tensione, preoccupazione e affanno. È un «prendersi cura». La fede comprende anche un sapere che esige studio e apprendimento, persino faticoso. Il grande traduttore della Bibbia dall’ebraico e greco in latino, san Girolamo, confessava: «Ogni tanto mi disperavo, più volte mi arresi, ma poi riprendevo con l’ostinata decisione di imparare».

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