La Guerra in Ecuador: i drammi del conflitto contro il narcotraffico e l’appello della Chiesa

L’Ecuador nell’ultimo periodo è diventato un paese in subbuglio. Il 9 gennaio un gruppo di narcotrafficanti armati ha preso d’assalto lo studio di un’emittente televisiva durante una trasmissione in diretta. Per quindici minuti, fino all’interruzione del segnale, si sono viste immagini di tecnici e giornalisti sdraiati a terra, minacciati da uomini a volto coperto armati di pistole, fucili, mitragliatrici, granate e candelotti di dinamite. Durante il blitz uno degli assalitori ha dichiarato «Hai voluto la guerra e avrai la guerra». Il messaggio è rivolto al neopresidente Noboa, responsabile di aver sfidato i cartelli della droga. Dopo questo episodio, è iniziato un sanguinoso conflitto armato tra lo Stato equadoregno e le organizzazioni di narcotrafficanti, disegnato dalla violenza e da atrocità commesse dai gruppi criminali.

Già nei mesi precedenti, l’Ecuador ha vissuto momenti di tensione. In particolare, il 2023 è stato un anno di sfide elettorali. Nell’ottobre 2023 si sono contesi la presidenza del Paese Luisa Gonzalez del partito di sinistra Rivoluzione Cittadina, e Daniel Noboa, un politico senza partito che ha poi effettivamente vinto la sfida alle urne. Già ad agosto era stato assassinato il candidato anticorruzione Villavicencio. Nonostante ciò, il nuovo esecutivo ha subito preso provvedimenti contro i narcotrafficanti per ripristinare il controllo dello Stato sul paese. Nello specifico, il neopresidente ha deciso di trasferire tutti i boss dei cartelli in carceri di massima sicurezza, lontano dagli agi delle carceri controllate dalla stessa criminalità organizzata. Inoltre, il nuovo governo vuole indire un referendum per consentire l’estradizione dei cittadini accusati di crimini e ha proposto il sequestro dei beni dei sospettati.

Le politiche di Noboa hanno però innescato una reazione violenta dei narcotrafficanti. Nelle carceri sono esplose violente ribellioni e alcuni boss sono evasi dagli stessi istituti penitenziari. Negli stessi giorni si sono verificati attacchi a istituzioni simboli dello Stato. Oltre all’attacco alla TC Television, i narcos hanno assaltato anche l’università di Guayaquil e altri hanno saccheggiato il centro di Quito, la capitale. Il governo ha risposto a questi attacchi emettendo un decreto d’emergenza che riconosce l’esistenza di un conflitto interno e autorizza l’esercito nazionale a neutralizzare 22 bande, riconosciute come gruppi terroristici.

Fino a vent’anni fa l’Ecuador era un paese abbastanza tranquillo, che viveva più di turismo che di criminalità organizzata. Negli ultimi dieci anni, però, sono fiorite bande di malviventi all’interno del paese. Questo è successo soprattutto durante il governo del socialista Rafael Correa, che ha avuto un approccio lassista verso il narcotraffico. Tuttavia, alcuni fattori hanno favorito l’ascesa del crimine nel paese. In primis la posizione geografica ha reso il paese un perfetto centro logistico dove fa transitare sostanze stupefacenti illegali. Infatti, l’Ecuador è incastonato tra i due maggiori paesi produttori di cocaina al mondo, Colombia e Perù, e con un vasto sbocco sull’oceano Pacifico. Inoltre, la fragilità dello Stato ha facilitato il radicamento della criminalità: la debolezza delle forze dell’ordine non ha permesso di contrastare le bande e la combinazione di una scarsa istruzione e della mancanza di lavoro ha reso i giovani facili reclute per i gruppi criminali.  In questo contesto sono cresciute bande come Los Choneros e Los Lobos. Negli ultimi tre anni il paese sta vivendo una situazione di conflitto tra i gruppi locali, con i grandi cartelli messicani o le mafie balcaniche alle spalle che cercano di stringere i migliori accordi.

Questa spietata guerra civile sta mietendo morti innocenti in tutto l’Ecuador. I narcotrafficanti agiscono nel loro classico modus operandi volto a ostentare l’orrore, con il fine di terrorizzare la gente, e anche l’esercito nazionale a sua volta risponde duramente.

Le istituzioni ecclesiastiche sul luogo si stanno muovendo per promuovere la pace e per incoraggiare politiche che sradichino il crimine organizzato. Il Vescovo del Vicariato di Esmeraldas, il Monsignor Crameri, suggerisce politiche che garantiscano i servizi di base, con l’aiuto della Chiesa, e che favoriscano la micro-imprenditoria per i giovani, attirati sennò dalle bande di malviventi. Monsignor Crameri ha dichiarato «Una delle cause di violenza è la povertà, frutto dell’ingiustizia. Quanti giovani senza futuro, perché mancano opportunità di vita, manca il lavoro. Mancano i servizi di base, la gente è costretta a vivere in catapecchie attorniate da fognature all’aria aperta, con tutto quello che questo implica a partire dall’insalubrità». Inoltre, il Vescovo ha suggerito ai politici: «Smettetela di preoccuparvi di ingrossare i vostri portafogli con la corruzione e mettetevi realmente al servizio del popolo, dando soluzioni alle cose di base, come l’acqua, l’elettricità, la salute, l’educazione. Smettetela di essere corrotti e cercate di creare opportunità di vita, sviluppando microimprese per la nostra gioventù».

L’appello del Monsignor Crameri rivela sicuramente la lungimiranza di chi assiste quotidianamente al dramma vissuto da un popolo costretto a vivere in una profonda condizione di disagio. Si spera che questi consigli illuminati non vengano ignorati. Per il momento non resta che seguire le cronache di ciò che succede in Ecuador, con l’augurio che le violenze possano avere presto fine.