La forza del dialogo con Dio

da Il Sole 24 Ore – 5 giugno 2022 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi affronta un tema che coinvolge tutte le religioni: la preghiera.

Già negli anni 70 del secolo scorso un teologo importante come il tedesco Gerhard Ebeling era convinto che fosse da registrare un «totale collasso della preghiera nella modernità». Eppure, non solo allora ma anche ai nostri giorni si moltiplicano i libri su questo atto che un filosofo come Kierkegaard – sulla scia di un’antica tradizione e anticipando reiterate dichiarazioni successive – definiva «il respiro dell’anima», necessario come quello fisico (Lutero, invece, preferiva compararlo al «battito del polso»). Paradossale era un altro teologo tra i maggiori del ’900 come Karl Rahner che affermava: Ich glaube, weil ich bete, «credo perché prego».

Su questo tema che coinvolge tutte le religioni e che persino inquieta gli stessi atei – tant’è vero che il cardinal Carlo M. Martini poté dedicargli un’edizione della sua «Cattedra dei non credenti» con sorprendenti interventi di personalità agnostiche – appare ora un altro studio di taglio teorico, dovuto a un interessante e spesso originale teologo dell’università tedesca di Eichstätt-Ingolstadt, Christoph Böttigheimer, classe 1960. Già il titolo è provocatorio nel termine mobile (In)sensatezza, Sinn(losigkeit). Sì, perché, se molte sono le ragioni del pregare, sia spontanee sia motivate teologicamente, altrettante sono le reazioni critiche e smitizzanti, spesso avvinghiate nella contemporaneità a quel crollo dell’onnipotenza divina registrato ad Auschwitz (ma non solo).

Un cenno preliminare merita la struttura del saggio: esso è retto, in modalità dialettica, su una dualità tra «quesiti e risposte», naturalmente non secondo un taglio catechistico, ma con discorsi paralleli articolati. Preso in considerazione è il genere orante fondamentale, la domanda-petizione. Dopo tutto, Gesù stesso ha coniato la sua preghiera distintiva, il «Padre nostro», su una sequenza di appelli rivolti a Dio, preoccupandosi persino del «pane quotidiano». Anzi, con una straordinaria e vivacissima parabola innestata in un’aula di tribunale ove un giudice amministrava una mala giustizia (Luca 18,1-8), Cristo non esitava a ribadire «la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai», anche quando si è inascoltati.

Ma ritorniamo alla struttura binaria adottata da Böttigheimer che la impone a quattro punti cardinali dell’orizzonte orante. Il primo è rubricato sotto il titolo «L’ascolto di Dio». Qui affiora una questione radicale che scuote lo stesso concetto del Dio personale: non sarà questa rappresentazione un antropomorfismo che è raso al suolo dal frequente silenzio di Dio, per nulla scosso nella sua trascendenza e quindi alieno all’ascolto e al dialogo? La replica è affidata a pagine veramente efficaci che riconsiderano il concetto della personalità di Dio e, tenendo conto dell’infinità divina che permette l’ossimoro di una trascendenza immanente, emargina la categoria del dialogo a favore di un Dio che è, sì, oltre ma anche in noi. Folgorante il latino delle Confessioni di sant’Agostino: Tu eras interior intimo meo et superior summo meo, più intimo della mia stessa intimità, più alto della mia altezza.

Altrettanto radicale è il secondo riferimento della mappa dell’orizzonte orante, l’intervento divino in risposta all’invocazione umana. Qui si leva un altro picco da scalare, eretto dalle obiezioni sull’onnipotenza di Dio, palesemente frustrata oppure scandalosa nelle sue reticenze e negazioni: ritorna in scena Auschwitz e le relative deduzioni a più largo spettro elaborate da un famoso saggio di Hans Jonas del 1987 (Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo 1993). Il tentativo di replica di Böttigheimer è molto articolato lungo traiettorie diverse: il riconoscimento di un’autolimitazione divina; le cause seconde attraverso le quali si svolge l’«agire mediato» di Dio; l’ingresso della libertà umana; e ancora la funzione di sollievo che la preghiera genera e il consolidamento del rapporto di fiducia con Dio.

Sono pagine molto complesse come lo è il soggetto affrontato, rese probabilmente più ardue anche dalla versione di un originale ostico per la stessa tipologia linguistica tedesca. Il terzo punto cardinale è consequenziale e riguarda sostanzialmente l’incrocio tra la volontà divina e la libertà della persona umana che talora procede mossa da un suo interesse nella domanda. Conseguente è anche il quarto e ultimo riferimento, quello della provvidenza di Dio il cui concetto dev’essere purificato da categorie schematiche come quella dell’onniscienza. Abbiamo ovviamente scarnificato il discorso sviluppato dal teologo che, per altro, allega una massa notevole di riflessioni elaborate dai suoi colleghi contemporanei.

Il succo finale che si ricava attraverso il metodo dialettico degli interrogativi e delle risposte è, a nostro avviso, duplice. Da un lato, nella preghiera ci si inerpica nel mistero del divino, della trascendenza e dell’alterità di Dio. È, quindi, un atto di «teo-logia» in senso stretto, cioè di discorso su Dio. D’altro lato, si ha lo scavo nella realtà umana e nelle sfide collegate alla fede. È, allora, anche un atto di «antropo-logia» religiosa. Non per nulla in esergo al libro Böttigheimer pone questa battuta della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino: «Se noi presentiamo preghiere a Dio non è per svelare a lui le nostre necessità e i nostri desideri, ma per chiarire a noi stessi che in simili casi bisogna ricorrere all’aiuto di Dio».

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