19 Dic In Qatar Mondiali senza diritti umani
Dal 20 novembre, giorno in cui il Campionato mondiale di calcio 2022 è cominciato, il Qatar che lo ha ospitato è sotto i riflettori. Si tratta del primo mondiale a tenersi in Medio Oriente. In realtà però il vero calcio di inizio di questi mondiali è stato il 2 dicembre 2010, quando è avvenuta l’assegnazione nella sede principale della Fifa a Zurigo e il Qatar è stato il primo Paese mediorientale selezionato come ospitante. Sono stati gli emiri a mettere in atto una vera e propria colonizzazione economica, iniziata nel 2005, quando hanno cominciato a utilizzare lo sport come un’occasione per dare prestigio e visibilità al Paese e le accuse di “sport washing” hanno alimentato le numerose inchieste che cercano di indagare ancora oggi la procedura di assegnazione del torneo all’emirato.
Dal momento che la manifestazione si è svolta in un Paese dal clima desertico, che tocca addirittura i 50 gradi di temperatura percepita, per la prima volta nella storia dei mondiali e creando moltissimi problemi non solo agli addetti ai lavori, la competizione si è disputata nel periodo dell’autunno-inverno dell’emisfero boreale, cioè nei mesi di novembre e dicembre, invece che a giugno-luglio, come da tradizione. Ma le anomalie non si fermano qui: una inchiesta del Guardian parla di 6.500 vittime accertate causate dallo sfruttamento estremo a cui sono stati sottoposti i lavoratori che si sono dedicati alla realizzazione delle strutture legate ai mondiali di calcio. Corruzione e violazione dei diritti umani quindi. Ecco le polemiche che hanno accompagnato l’apertura a Doha di questa ventiduesima edizione della massima competizione per le nazionali di calcio. L’imbarazzo è cresciuto man mano che le partite si giocavano una dietro l’altra ma era troppo tardi e né la colorata parata di apertura, né il trofeo più ambito nel mondo del calcio sono riusciti a stemperare le proteste.
Anche se è stata la Coppa del Mondo a fare accendere i riflettori, in particolare sullo sfruttamento del lavoro, lo stato dei diritti umani in Qatar rappresenta un motivo di preoccupazione e di attenzione da parte di molte associazioni non governative già da moltissimi anni. Il portavoce di Amnesty International Italia, il giornalista Riccardo Noury, ha denunciato a questo proposito nell’inchiesta “Qatar 2022, i mondiali dello sfruttamento” le condizioni di lavoro disumane e la morte di migliaia di persone da quando la Fifa ha affidato al Paese arabo l’organizzazione di questo evento. Dal 2010 al 2019, secondo i dati resi noti dall’Autorità per la pianificazione e le statistiche, sono morti più di 15 mila lavoratori stranieri, di cui più di 9 mila erano di origine asiatica, ma il numero esatto non si può sapere dal momento che in Qatar vige il divieto a riunirsi in sindacati. Amnesty International da tempo denuncia tra le altre violazioni proprio l’impossibilità dei lavoratori di formare sindacati come anche di aderirvi. Così come ha puntato l’indice contro le ripercussioni e le repressioni a cui sono sottoposti coloro che vogliano esercitare il diritto a manifestare. Non solo: Amnesty International da tempo ha portato alla luce la realtà di una situazione lavorativa in Qatar caratterizzata da «mancato o ritardato versamento dei salari, condizioni di lavoro insicure, diniego dei giorni di riposo, ostacoli alla ricerca di un nuovo lavoro e accesso limitato alla giustizia, che restano una costante nella vita di migliaia di lavoratori».
Repressioni e processi iniqui contro la libertà di stampa, divieto della libertà di associazione e di manifestazione, discriminazioni nei confronti delle donne sia già negli aspetti legislativi che nella vita di tutti i giorni, discriminazioni ancora e repressioni nei confronti di gay o transgender, sfruttamento del lavoro e abusi in questo campo a volte equivalenti al lavoro forzato. Sono queste alcune delle violazioni dei diritti umani che caratterizzano il Qatar, il Paese arabo dove a dominare è la legge della Sharia, cioè quel complesso di regole di vita e di comportamento dettate da Dio a cui ogni cittadino deve rifarsi per una corretta vita morale, religiosa e giuridica. Per tutti questi motivi i mondiali in Qatar sono stati anche i più boicottati di sempre: molte personalità dello sport e non solo, già al momento della designazione del Qatar a sede della manifestazione sportiva avevano annunciato che non li avrebbero guardati. Una posizione critica che ha coinvolto anche alcuni sponsor. Perché un’intenzione morale e un fine etico nello sport ci sono o dovrebbero esserci. Qualsiasi disciplina sportiva, quindi anche un Campionato mondiale di calcio, è un’occasione di incontro e di scambio tra culture, nazioni e religioni.
In questo allarmante quadro risuonano infatti come un inno alla speranza le parole di Papa Francesco che aveva auspicato che questo evento sportivo potesse rappresentare «una occasione di incontro e di armonia tra le Nazioni, favorendo la fratellanza e la pace tra i popoli».