Il Piano Amaldi per la ricerca

da Avvenire – 26 marzo 2021 – di Paolo Viana.

L’Italia investe troppo poco in ricerca di base e l’emergenza coronavirus lo ha drammaticamente dimostrato. Per questo in ottobre Ugo Amaldi, Luciano Maiani e altri dodici scienziati avevano scritto una lettera aperta all’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rilanciata anche da Avvenire, per portare l’investimento in ricerca pubblica al livello della Francia. La petizione di Federico Ronchetti che, con lo slogan «la ricerca pubblica è di tutti i cittadini», chiede un aumento drastico dei fondi in ricerca, ha già raccolto oltre 33mila firme. Torniamo a parlarne con Amaldi, perché in questo momento il dossier è sul tavolo del premier Mario Draghi.

L’iniziativa – che è stata chiamata proposta Amaldi-Maiani dal Presidente dell’Accademia dei Lincei Giorgio Parisi, uno dei firmatari – vuole portare in cinque anni gli scarsi finanziamenti italiani in ricerca pubblica al livello della Francia, che spende lo 0,75% del Pil. «Il 12 gennaio il Governo Conte 2 ha approvato una bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che deve essere inviato a Bruxelles prima della fine di aprile e che è la base di partenza per il piano che il Governo Draghi sta predisponendo – ci spiega Amaldi –. In questa bozza, nonostante le risposte pubbliche positive dateci dal premier Conte e dal ministro Manfredi, i fondi previsti sono del tutto insufficienti e, inoltre, sono dedicati più alle imprese che alla ricerca di base quando, in altre parti del Piano, la ricerca delle imprese è, giustamente, già ben finanziata. Per questo, dopo aver scritto al presidente Draghi, abbiamo fatto un Appello pubblico a Governo e Parlamento che sottolinea l’insufficienza di ciò che è previsto e spiega come dovrebbero essere investiti gli fondi pubblici, che devono passare – in modo strutturale e permanente – dai 9 miliardi l’anno del 2020, di cui 6 in ricerca di base e 3 in ricerca applicata, a 14 miliardi l’anno nel 2025, 9,5 in ricerca di base e 4,5 in ricerca applicata». Secondo il fisico romano, che da anni vive a Ginevra dove ha lavorato al Cern e che ha creato in Italia la fondazione per adroterapia oncologica Tera, «per svilupparci al ritmo di Francia e Germania dobbiamo risolvere molti problemi, quali la burocrazia elefantiaca, la giustizia lenta, gli investimenti scarsi, le poche donne che lavorano, la denatalità. Ma colmare tutte queste deficienze non basterà perché l’Italia non è una “società della conoscenza”; infatti Il nostro “triangolo della conoscenza “, che ha come base l’Istruzione e come lati la Ricerca e lo Sviluppo, è del tutto carente. La buona notizia è che nel PNNR una “missione “, la quarta, è dedicata a Istruzione e Ricerca. La cattiva notizia è, come ho detto, che i finanziamenti previsti sono del tutto insufficienti, in particolare per la ricerca di base, che è il fondamento delle tecnologie del futuro, oggi impensabili, e anche dei nuovi lavori, che devono sostituire quelli che stanno scomparendo. Questa è la ragione del nostro ultimo Appello a Governo e Parlamento, che dovrà approvare le proposte del Governo».

Secondo gli scienziati, il PNNR attualmente sotto esame prevede investimenti insufficienti e troppo orientati verso il mondo delle imprese: sono 11,77 i miliardi previsti per la ricerca nella bozza del Recovery Plan, approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei ministri. Lo stanziamento dovrebbe essere invece di 15 miliardi e sostenere prevalentemente la ricerca di base, come si legge nell’Appello firmato dai 14 scienziati, che chiedono «una revisione profonda delle proposte contenute nella bozza del 12 gennaio». L’Italia spende per la ricerca pubblica lo 0,5% del Pil (pari a 9 miliardi l’anno) contro lo 0,75 della Francia (17 miliardi) e l’1% della Germania (30 miliardi), con un investimento annuo per cittadino di 150 euro contro i 250 della Francia e i 400 della Germania e i dottorati di ricerca sono 9mila l’anno contro i 15mila della Francia e i 28mila della Germania.

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