Il Cile: la protesta che passa dalle strade alle urne

Lo scorso ottobre, il Cile è stato attraversato da profondi moti di protesta. Chiamati alle urne, i cittadini cileni hanno votato per la cancellazione dell’attuale Costituzione, risalente al 1980 e alla dittatura militare del generale Augusto Pinochet. Già nel 2019, numerose proteste contro il governo cileno, guidato dal presidente conservatore Sebastián Piñera, avevano portato a galla come la Costituzione vigente, scritta da un regime militare autoritario, contribuisse a mantenere le disuguaglianze che contraddistinguono il Cile e  e ostacolasse qualsiasi speranza di cambiamento.

Il referendum su cui si sono espressi i cileni ha visto il 78,12% dei partecipanti a favore di una nuova Costituzione. Oltre a questo, i votanti hanno scelto che l’assemblea, incaricata di redigere la nuova Costituzione, debba essere composta da 155 membri, eletti solo direttamente tenendo conto della parità di genere e quindi non comprensiva di metà degli attuali parlamentari.

Hanno anche deciso che ogni proposta dell’assemblea dovrà essere approvata a maggioranza di due terzi. Di sicuro, tra le questioni più urgenti, su cui presto sarà chiamata ad esprimersi, ci sono: il riconoscimento della popolazione indigena dei Mapuche, la revisione dei contratti collettivi di lavoro, la riforma del sistema privato dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione e delle pensioni.

Lo scorso ottobre i cileni avevano indicato nel maggio 2021 la data più in là possibile per l’insediamento della nuova assemblea e la seconda metà del 2022 come il periodo idoneo ad un nuovo referendum atto ad approvare o respingere il testo della nuova Costituzione.

Ma non tutto è andato come sperato. Ad oggi non si sono ancora tenute le elezioni né sono i iniziati i lavori per scrivere la nuova Costituzione. Originariamente fissate per il 10 e l’11 aprile, le elezioni sono state posticipate di un mese, al 15 e al 16 maggio. È chiaro che la scelta è dettata dalla pandemia ancora in corso. Nonostante il Paese del Sud America abbia già vaccinato 6,4 dei suoi 19 milioni di abitanti (di cui 3,2 hanno ricevuto anche il richiamo), è oggi colpito da una violenta seconda ondata con 7 mila contagi al giorno, il doppio della prima.

Sono passati poco più di tre anni dalla visita a Santiago del Cile di Papa Francesco, quando il Rettore della Pontificia università cattolica, Ignacio Sánchez, chiamò gli studenti cileni a una serie di sfide importanti, legate alla convivenza nazionale, alla capacità di progredire, a ricercare il giusto. Fu allora che il Pontefice aggiunse: «Parlare di sfide è ammettere che ci sono situazioni che hanno raggiunto un punto che richiede un ripensamento. (…) Il ritmo accelerato e l’avvio quasi vertiginoso di alcuni processi e cambiamenti che si impongono nelle nostre società ci invitano in modo sereno, ma senza indugio, a una riflessione che non sia ingenua, utopistica e ancor meno volontaristica». E come strumento in grado di guidare il progresso il Papa indicò proprio il dialogo, in quanto capace di «assumere una logica plurale, quella cioè che fa propria l’interdisciplinarità e l’interdipendenza del sapere».