Il Brasile, un Paese spaccato

L’8 gennaio scorso il Brasile è stato protagonista di un vero e proprio assalto ai palazzi del potere di Brasilia. Dopo la sconfitta di Bolsonaro, al secondo turno delle elezioni del 30 ottobre vinte da Luiz Inácio Lula da Silva, i “bolsonaristi” hanno preso d’assalto non solo la sede del Congresso ma anche la Corte Suprema e il Palazzo presidenziale Planalto, sede del governo, e quello del Tribunale Supremo Federale.

Migliaia di persone, secondo fonti oculari circa 10-15 mila, vestiti con magliette verdeoro, hanno invaso gli edifici sfondando le transenne e hanno distrutto mobili e finestre, danneggiato opere d’arte e rubato una copia della Costituzione federale, documentando il tutto con innumerevoli selfie e facendo danni per 1,3 milioni di dollari. I sostenitori dell’ex Presidente Jair Bolsonaro si sono scontrati con le forze di sicurezza che hanno fatto irruzione nel palazzo del Congresso Nazionale a Brasilia, in seguito al tentato golpe. La polizia militare, per disperdere i manifestanti, ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni dagli elicotteri.  Dopo l’assalto al Congresso sono stati arrestati 1.406 sostenitori dell’ex presidente. Per 942 persone la Corte Suprema ha ordinato la custodia cautelare e altre 464 hanno ottenuto la libertà provvisoria attraverso misure cautelari ma ad alcune condizioni come l’uso di una cavigliera elettronica per il monitoraggio. 684 persone, i cui nomi sono comunque inseriti nelle indagini, sono state invece rilasciate perché malati, anziani o donne con bambini. Il magistrato istruttore del caso, Alexandre de Moraes, ha dichiarato che le persone coinvolte dovranno rispondere dei reati di: «associazione a delinquere, abolizione violenta dello Stato di diritto democratico e colpo di Stato».

Il Presidente Lula, che si trovava nello Stato di San Paolo in visita a delle zone alluvionate, è subito rientrato a Brasilia dove, dopo aver visitato i palazzi colpiti, ha poi convocato una riunione di emergenza con i ministri dell’esecutivo prima e con i 27 governatori poi. Ha definito l’attacco alle istituzioni democratiche “violento e fascista” e ha dichiarato: «Torres sapeva cosa sarebbe successo». Subito dopo essere atterrato a Brasilia mentre stava rientrando dagli Stati Uniti, l’ex ministro della Giustizia del governo Bolsonaro, Anderson Torres, è stato infatti arrestato dalla polizia federale per l’assalto al Parlamento brasiliano. Sospettato di collusione con i golpisti, l’ex ministro aveva in casa una bozza di decreto per limitare i diritti costituzionali. Dopo questo ritrovamento il governo brasiliano ha chiesto un’inchiesta contro Bolsonaro, ritenuto politicamente responsabile e accusato di tentato golpe. «Respingo le accuse, senza prove, a me attribuite dall’attuale capo di Stato del Brasile. Durante tutto il mio mandato, ho sempre rispettato la Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà» ha poi replicato Bolsonaro tramite social.

In seguito alle devastazioni dei bolsonaristi a Planalto e ai recenti avvenimenti, il Brasile si ritrova a fare i conti con una crisi politica che mina quindi le basi dell’intero sistema democratico. Quello che è successo l’8 gennaio era stato però ampiamente annunciato. I quattro anni di governo Bolsonaro, infatti, sono stati caratterizzati da minacce agli equilibri istituzionali del Paese. Nella politica brasiliana si parlava da tempo di golpe e i fatti del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill avevano rafforzato l’idea che episodi simili si sarebbero verificati anche nel Paese sudamericano. Impossibile infatti non cogliere l’eco che rimanda all’assalto, il 6 gennaio 2021, al Congresso di Washington. E, come documenta il Washington Post, dietro gli assalti in Brasile ci sarebbero stati contatti tra la famiglia Bolsonaro, Bannon e l’ex presidente USA, Donald Trump.

Cosa significa quindi per il futuro della democrazia in Brasile l’assalto dell’8 gennaio? Significa far fronte a un processo insurrezionale dal basso che si è recentemente organizzato ed è maturato e fare i conti con i limiti e le contraddizioni di una democrazia incompiuta. Da questa vicenda il governo Lula, che aveva vinto alle urne con un vantaggio estremamente ridotto in un Paese fortemente diviso, ne esce sicuramente rafforzato. Ma i problemi della società brasiliana, venuti fuori con gli avvenimenti dell’8 gennaio, lasciano incertezze, incognite e crisi sul punto di esplodere. La sfida per Lula sarà fare un’opera di de-bolsonarizzazione delle istituzioni brasiliane, a partire dalle forze dell’ordine e soprattutto dall’Esercito ma gli obiettivi di ricostruzione delle fondamenta repubblicane che si propone oggi il Partito dei Lavoratori appaiono obiettivi insufficienti e quasi contraddittori.

Non solo in Brasile e nel continente americano ma in molte altre zone del mondo assistiamo a polarizzazioni e radicalizzazioni, alla democrazia che è messa a dura prova. Basta pensare a quanto accaduto recentemente in Perù, dove l’ormai ex presidente Pedro Castillo, ordinando lo scioglimento del Congresso, l’istituzione di un governo eccezionale e il coprifuoco, ha tentato un colpo di stato ma in poche ore è stato destituito e arrestato. E ancora alla situazione ad Haiti, che affronta una crisi politica in atto da tempo ed è spesso dimenticata dai media di fronte alla dirompente crisi ucraina. Pochi giorni prima del ballottaggio tra Bolsonaro e Lula Papa Francesco aveva ricevuto in visita un gruppo di vescovi del Brasile e con le sue preghiere aveva affidato alla Madonna di Aparecida, patrona del Brasile, questo difficile momento storico. Dopo l’assalto al Parlamento, anche il Santo Padre ha infatti espresso preoccupazione e si è pronunciato a proposito della democrazia: «Desta preoccupazione l’affievolirsi, in molte parti del mondo, della democrazia e della possibilità di libertà che essa consente, pur con tutti i limiti di un sistema umano». E ha aggiunto: «Occorre sempre superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune».

 

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