I giovani e la politica. L’appello di Alice

Per ritrovare cosa veramente significa fare e partecipare alla politica, bisognerebbe tornare un po’ indietro nel tempo, intorno agli inizi del VII secolo a.C, nell’antica Grecia, con le prime “polis”, le città-stato. Qui essere cittadino significava partecipare attivamente alla vita politica sociale, culturale e religiosa della comunità; significava, soprattutto, partecipare alle assemblee dove tutti godevano del diritto di parola.

La concezione della politica nel mondo romano non cambia molto. Il vero “civis” era colui che combatteva per la giustizia e il bene dello Stato, colui che anteponeva la “res publica”, quindi il bene comune, alla “res privata”, gli interessi personali. I veri uomini non dovevano vivere appartati, dedicandosi all’ “otium”, bensì seguire il proprio dovere: lavorare per l’utile pubblico, entrare in politica. La vera virtù stava, infatti, nell’impegno civile.

La naturale condizione dell’uomo, cioè l’essere “animale sociale” (come definito da Aristotele) veniva realizzata dunque così, nell’essere cittadino attivo.

Oggi, nel 2018, noi giovani sembriamo sempre più disinteressati alla politica, sembriamo ignorare quelle che sono le dinamiche e le regole di una società civile. Non esiste più un senso di appartenenza allo Stato, che sembra così lontano e indifferente alle nostre aspettative, ai nostri sogni. La nostra sembra essere una generazione inerme e assente, non abituata affatto, anzi forse riluttante e demotivata, a lottare per il cambiamento, come invece è avvenuto negli anni del ’68, per esempio. Quello che manca è la consapevolezza di trovarci in un sistema che ci rende finti partecipanti, al di sotto di una schiera di pochi individui che detengono il potere e decidono per noi, attraverso una politica sempre più nazionalista e intollerante, ma soprattutto una politica illusoria.

Dovremmo renderci conto che oggi l’uomo, e quindi il cittadino, è spesso considerato qualcosa di “strumentalizzabile, intrinsecamente incapace di assumere la direzione di ciò che lo riguarda e quindi sottomesso all’autorità” (Manifesto di Port Huron). Automi, senza più ragionevolezza. E quindi uomini facili da manipolare, come dimostrano i nuovi populismi mondiali, schiavi dell’abitudine, di una vita sempre più legata alla quantità e allo spreco (chi ha più macchine, telefoni o scarpe), piuttosto che alla qualità.

È questo il sistema che dobbiamo cambiare, in quanto giovani, in quanto cittadini, che si devono porre l’obiettivo di partecipare alle decisioni sociali, determinare la qualità e la direzione della propria vita, trovare soluzioni che sviluppino benessere, non solo individuale, ma per tutta la comunità.

Dobbiamo smettere di rimanere chiusi in una teca di vetro. Dobbiamo prendere in mano le redini del nostro Paese.

 

Alice Latella, 17 anni

 Liceo Torquato Tasso di Roma