Gli schiavi del cobalto

«Lascia allibiti e turbati il fatto che nelle economie contemporanee, le cui attività produttive si avvalgono delle innovazioni tecnologiche, tanto che si parla di “quarta rivoluzione industriale”, persista in ogni parte del globo l’impiego dei bambini in attività lavorative». Queste erano le parole che Papa Francesco pronunciava durante l’udienza ai partecipanti a un convegno internazionale. Abbiamo connessioni sempre più veloci, smartphone sempre più potenti ma c’è un prezzo da pagare per la tecnologia. Quale? E soprattutto alle spese di chi?

Il cobalto è un minerale prezioso, utilizzato per la produzione di numerosi dispositivi elettronici, tra cui smartphone, tablet e computer, ma anche per la produzione di batterie agli ioni di litio che alimentano automobili e biciclette elettriche. Il metallo del futuro. Ecco come viene definito, insieme al litio, nell’ultimo studio sulle materie prime condotto dall’economista di Intesa Sanpaolo Daniela Corsini. Un componente essenziale per la transizione energetica quindi, utilizzato da tutti i principali produttori di apparecchiature elettroniche.

Ma è dalla Repubblica Democratica del Congo che proviene più della metà della fornitura mondiale di cobalto, il 50 o 70% si concentra nelle miniere del sud-est del Paese. E sono perlopiù i bambini a lavorare in queste miniere e a pagare le terribili condizioni dello sfruttamento. Secondo i dati Unicef del 2014, infatti, sono circa 40.000 i minori sfruttati nelle miniere di cobalto del sud della Repubblica Democratica del Congo e non ci sono dati attendibili più recenti. Secondo le stime del governo, il 20% del cobalto esportato dal Paese proviene da minatori artigianali. Chiamati creuseurs, questi piccoli minatori estraggono a mani nude, utilizzando strumenti di fortuna per scavare le rocce e creare profonde gallerie sotterranee.

Molti bambini lavorano 12 ore al giorno se non di più, senza protezioni, in condizioni estreme, tra suolo tossico e acqua acida e con un salario misero, di circa 1.000-2.000 franchi congolesi al giorno, cioè solamente per 1 o 2 euro. Spaccano pietre per poi venderle alle società minerarie. Hanno tra i 7 e i 16 anni, senza contare i neonati fasciati sulla schiena delle madri. Lavorano dopo aver frequentato la scuola e nel fine settimana o, più spesso, dopo averla abbandonata se i loro genitori non possono permettersi le tasse scolastiche. Infatti, nonostante il codice di protezione dei minori della Repubblica Democratica del Congo preveda l’obbligo e la gratuità dell’educazione primaria, i genitori, per la mancanza di finanziamenti statali, devono pagare tasse piuttosto alte.

A causa dei carichi troppo pesanti, sacchi che arrivano a pesare anche 20 o 40 kg, addirittura più del peso del bambino stesso, i bambini che lavorano si ammalano più frequentemente dei loro coetanei e subiscono lesioni muscolari o della colonna vertebrale, deformazioni ossee e articolari o ancora sono esposti a tubercolosi, febbre tifoidea e infezioni cutanee. Oltre ad essere picchiati e maltrattati i minori sono spesso vittime di incidenti mortali sul lavoro, a causa dei frequenti crolli che si verificano nei tunnel sotterranei. Amnesty International dichiara che non ci sono dati attendibili disponibili sul numero di minori vittime di incidenti poiché non vengono registrati e i corpi vengono sepolti sottoterra.

Gli smartphone e le batterie delle automobili di tutto il mondo sono sulle spalle di questi bambini e negare il diritto alla salute dei minori, il loro benessere fisico e psicologico, i loro bisogni educativi ed economici per estrarre un metallo centrale per la transizione energetica non è più possibile. La sfida per il futuro dovrà essere quella di migliorare gli strumenti e le regole per riciclarlo e arrivare alla produzione di batterie senza cobalto.

Sono numerose le petizioni che chiedono al Governo della Repubblica Democratica del Congo di fermare questo sfruttamento: “Still I rise”, ong che ha aperto una scuola per la riabilitazione dei bimbi minatori di Kolwezi, ha promosso una campagna per aumentare in Italia e in Europa i controlli sulla provenienza e sulla filiera del minerale, dal momento che l’attuale quadro legislativo dell’Unione europea non prevede la certificazione della sua provenienza. Ad oggi, solamente presentando una lista dei fornitori, le aziende sono libere di esportare prodotti elettrici con batterie al cobalto. Con la petizione “Basta bimbi minatori” la ong vuole sensibilizzare l’Italia e tutti gli Stati membri dell’Unione europea sulla necessità di maggiore controllo in tutta la filiera. In questa direzione si sta muovendo il Parlamento di Strasburgo e la buona notizia è che la Repubblica Democratica del Congo ha annunciato di voler eliminare l’impiego dei bambini nel settore minerario entro il 2025.

A questi appelli si aggiunge quello di Papa Francesco che, in occasione della Conferenza Internazionale promossa dalla Commissione vaticana Covid-19 del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, con la collaborazione della Missione permanente della Santa Sede presso la FAO, ha dichiarato ai partecipanti: «Il lavoro minorile spezza i sogni dei bambini. Sfruttare i più piccoli è contro la dignità umana». E ancora: «Il bambino che non può giocare, che non può sognare, non può crescere. È derubare del futuro i bambini e dunque l’umanità stessa. È lesione della dignità umana. Sradicare il lavoro minorile, costruire un futuro migliore».