Dall’agguato di Dio viene la salvezza

da Il Sole 24 Ore – 5 dicembre 2021 – di Gianfranco Ravasi.

«Per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca». A sorpresa ad emettere questa dichiarazione è nientemeno che Nietzsche, nell’opera Aurora (1881), forse memore della sua matrice biblica luterana. Certo è che il progenitore ideale delle tre religioni monoteistiche apre il sipario su una storia di fede che lascia alle spalle la drammatica genealogia di Adamo peccatore per divenire il padre dei credenti, come ribadirà l’apostolo Paolo annodando la sua riflessione attorno a un celebre versetto della Genesi: «Abramo credette al Signore e ciò gli fu accreditato a giustizia» (15,6).

Da quel giorno in cui una voce trascendente lo sradicò col suo clan dalla splendida città mesopotamica di Ur e lo lanciò in un avventuroso percorso lungo le piste del deserto per approdare nella terra di Canaan, fino alla morte e alla sepoltura nella grotta di Macpelah, la sua vicenda è narrata nei cc. 11-25 della Genesi, in pagine che hanno la tonalità di una saga. Chi la vuole seguire criticamente procedendo sul crinale sottile che si dirama tra storia e teologia, tra eventi e simboli, tra panorami terrestri e squarci celesti, ha ora a disposizione una guida affascinante allestita da uno dei maggiori biblisti americani, l’ormai patriarcale Joseph Blenkinsopp, classe 1927 (come papa Ratzinger). Egli l’ha approntata quasi novantenne (l’originale è del 2015)! Le scene si snodano come in un filmato, iniziando proprio da quel viaggio nel deserto «senza sapere dove andava», come suggerirà la neotestamentaria Lettera agli Ebrei (11,8), per avanzare poi in mezzo a una folla di personaggi, dalla moglie Sara alla schiava Agar e al nipote Lot, dai due figli del patriarca, Ismaele e Isacco, fino alla nuora Rebecca e a tre ospiti misteriosi. Il tutto affidato a un lampeggiare di eventi dalla trama avvincente che è difficile esemplificare perché li si spoglierebbe dei colori tipici della saga e dei paramenti sontuosi della teologia.

Sì, perché Dio è sempre in agguato con un volto radioso ma, come vedremo, anche con un profilo sconcertante, immergendosi in vicende umane persino scandalose come l’incesto padre-figlie subìto dal nipote Lot, parabola provocatoria dell’etnogenesi di due tradizionali avversari di Israele, le tribù di Moab e Ammon. Un Dio che suggella il suo legame con Abramo attraverso la promessa di un figlio (Isacco, in ebraico «sorridente»), con l’atto sacrale della circoncisione, ma anche con un imperativo immorale e fin blasfemo: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, e offrilo in olocausto» (Genesi 22,2).

E qui siamo all’apice della fede assoluta di Abramo che si consuma sulla cima di un monte, Moria. Ma per questo momento tragico lasciamo la voce a un poeta, a p. David M. Turoldo, che in una sorta di ballata sacra così seguiva la scena del patriarca: «Una quercia fulminata era il Vegliardo. / Volavano sulla fronte nubi / come a una vetta alta e nuda. / Ma legato il basto al giumento / tagliò con lucida calma la legna. / Indi la mano del fanciullo / perduta nella sua grande mano, / prese l’ombra di lui / a ondeggiare sull’altopiano… / O vecchio, com’era il volto del Dio? / forse un lenzuolo di sangue? / o una roccia nera, cratere in fiamme?… / O Signore mio, amato e crudele!». Kierkegaard nelle pagine memorabili di Timore e tremore (1843), Rembrandt nell’emozionante tela dell’Ermitage, persino Proust nell’avvio della Recherche, Carissimi e Scarlatti nei loro oratori musicali e mille altri artisti sono anche loro saliti su quella vetta per rivedere un atto enigmatico.

Un atto che ha ovviamente avuto un’eco straordinaria nella tradizione giudaica sotto il nome di ‘aqedah, la «legatura» sacrificale di Isacco da parte di Abramo sull’altare di pietra del Moria. Un appassionato e qualificato ebraista come Luigi Cattani ha raccolto in una sorta di dittico proprio quell’interpretazione che, gemmandosi dal rabbinismo antico e medievale e transitando attraverso la letteratura mitteleuropea della comunità dei Chassidim (i «pii»), è giunta anche alla contemporaneità, sostando in mezzo alla bufera teologica generata dalla Shoah. Nella prima sezione è, appunto, di scena l’analisi di questo imponente apparato testuale che si è esercitato in modo multiforme sul palinsesto originario biblico del c. 22 della Genesi.

A questo approfondimento accurato, che identifica tutte le variazioni ermeneutiche attraverso i secoli, succede la seconda tavola del dittico costituita da un’antologia dei vari testi giudaici così da verificare in pagina la precedente analisi. Cattani aiuta a districarsi in questa ramificazione di pensieri segnati anche dal sangue, a differenza della vicenda biblica che vede la sostituzione di un ariete sacrificale rispetto a Isacco. Forse – in mezzo a queste differenti illuminazioni di un evento che genera soprattutto interrogativi (non manca anche quella messianica ed escatologica) – si erge una risposta, ventilata da alcuni testi giudaici ed esplicitata da Kierkegaard.

L’evento del Moria è il paradigma supremo e lacerante della nudità del credere, capace di travalicare le ragioni persino della teologia (la promessa e il dono del figlio alla coppia sterile Sara-Abramo), per aderire al Dio amato in un atto di purissima fiducia, libero da ogni appoggio sperimentale e razionale.