Cosa succede nei cantieri navali del Bangladesh?

In Europa esistono circa 150 grandi cantieri navali di cui 40 attivi nel mercato delle imbarcazioni mercantili marittime: navi da crociera, container e petroliere che vengono costruite nei Paesi dell’UE e che dopo 30 o 40 anni in mare, arrivano sulle coste dell’Asia meridionale per essere smantellate. Le destinazioni principali sono Alang in India, Gadani in Pakistan e Chattogram in Bangladesh, dove arrivano le imbarcazioni dalle dimensioni più importanti, per un totale pari a circa l’80% delle navi in fin di vita provenienti da tutto il mondo.

I motivi che portano queste navi dall’altra parte del mondo sono manodopera a basso costo e un maggiore profitto per le compagnie di navigazione soprattutto in Bangladesh, dove dal 2020 sono state smantellate più di 520 imbarcazioni, per un tonnellaggio di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro paese al mondo.

I cantieri di demolizione navale riducono i costi del lavoro attraverso scorciatoie sulle misure di sicurezza e tramite lo scarico di rifiuti tossici direttamente sulla spiaggia senza tener conto delle normative. Spesso questo avviene durante turni notturni illegali e pericolosi che si aggiungono alle condizioni disumane in cui vengono trattati i lavoratori ai quali vengono negati salari dignitosi, riposo o risarcimento in caso di infortuni.

Proprio nell’estate del 2021, Mohammed Biplob un 35 enne che lavorava presso la Arefin Enterprise a Chattogram, è stato vittima di un’esplosione che lo ha scaraventato a terra rompendogli la schiena e provocandogli gravi ustioni al viso. La sua storia e quella di molti altri bengalesi vittime di incidenti sul lavoro, sono riportate in un report pubblicato a settembre 2023 da Human Rights Watch e Shipbreaking platform, due ONG che promuovono i diritti dei lavoratori e la sostenibilità ambientale nel settore della demolizione navale.

Nel report dal titolo “Trading lives for profit: how the shipping industry circumvents regulations to scrap toxic ships on Bangladesh’s beaches” vengono denunciate le azioni delle compagnie europee che approfittando del basso costo della manodopera locale, utilizzano compagnie prestanome per aggirare le normative in termini di smaltimento. Nel 2022, si legge, oltre il 30% delle navi al mondo era di proprietà di un’azienda europea, ma meno del 5% lo era al momento della demolizione. La normativa europea stabilisce infatti che i rifiuti navali non possano essere mandati in Paesi esterni all’Ocse, ma questa regola viene facilmente aggirata se nel frattempo le navi in questione sono cedute a compagnie extraeuropee.

I lavoratori e le comunità coinvolte nel business dello smantellamento sono frequentemente esposti a materiali tossici nell’aria che respirano, nell’acqua che bevono e nel cibo che coltivano e mangiano. Il rischio di infortuni è poi altissimo se si considera che in molti non possono permettersi stivali di gomma adeguati e lavorano a piedi nudi o in infradito, rischiando continuamente di scivolare o di calpestare chiodi e pezzi di metallo.

L’insieme di tutte queste criticità fa si che i lavoratori coinvolti nell’industria della demolizione navale abbiano un’aspettativa di vita di 20 anni inferiore alla media; il loro è infatti considerato uno dei lavori più pericolosi al mondo, un lavoro che in molti casi viene svolto anche da bambini come hanno raccontato gli stessi operai dicendo di aver iniziato intorno ai 13 anni.

Tornano attuali più che mai le parole di Papa Francesco pronunciate nel 2016 quando si era scagliato con forza contro il lavoro nero definendolo «una vera e propria schiavitù, uno sfruttamento». Per il Pontefice l’ossessione del profitto economico e l’efficientismo della tecnica mettono a rischio i ritmi umani della vita, rendendo milioni di uomini e donne e addirittura bambini schiavi del lavoro. «Sfruttare la gente sul lavoro per arricchirsi è come essere delle sanguisughe, è un peccato mortale contro Dio e contro la dignità della persona umana»

Human Rights Watch e Shipbreaking Platform hanno chiamato in causa l’UE affinché riveda la normativa sul tema e possa garantire uno smaltimento in totale trasparenza e sicurezza. «Le compagnie di navigazione dovrebbero investire nella costruzione di piattaforme stabili con uno standard che protegga pienamente i diritti dei lavoratori e includa meccanismi per la gestione a valle e lo smaltimento dei rifiuti.
L’UE dovrebbe rivedere il regolamento sul riciclaggio delle navi per ritenere effettivamente responsabili le compagnie di navigazione e impedire loro di eludere la legge.
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La situazione potrebbe cambiare nel 2025, quando entrerà in vigore in Bangladesh la Convenzione di Hong Kong, stipulata nel 2018 sotto la guida dell’International Maritime Organization (IMO) con cui si dovrebbero garantire una demolizione e un riciclo dei materiali sicuro, sia per gli operai che per l’ambiente.