Addio libertà: il prezzo di una condanna ingiusta

Nulla è più importante della libertà. Soprattutto se ne vieni privato ingiustamente. Eppure migliaia di persone rimangono vittima di errori giudiziari che le costringono a scontare pene carcerarie che non meritano, oltre a sopportare l’umiliazione di una condanna ingiusta.

In Italia, tra il ’91 e il 2021, sono finite in galera circa 30 mila persone senza colpa. Di queste, la grande maggioranza è stata detenuta in custodia cautelare, ossia reclusa prima del processo, mentre si registrano 222 casi di errori giudiziari veri e propri, in cui persone sono state prima condannate quindi assolte, ma solo dopo revisioni processuali. Ciò significa che, negli ultimi tre decenni, una media di 961 cittadini all’anno si è trovata in carcere senza aver commesso alcun delitto, e sette persone in media vengono condannate erroneamente ogni anno. Nel periodo preso in considerazione, lo Stato italiano ha dovuto quindi risarcire quasi un miliardo di euro per la libertà rubata, precisamente 932.937.000 di euro. Solo nel 2022, 539 innocenti sono finiti in carcere, con gli indennizzi che hanno superato i 27 milioni di euro. Ovviamente, il valore di questi risarcimenti ha un’importanza relativa, poiché la libertà non ha prezzo.

Un caso recente è quello di Beniamino Zuncheddu, un pastore sardo che il 26 gennaio 2024 è stato assolto dopo 33 anni di reclusione. Zuncheddu era stato condannato all’ergastolo in quanto esecutore della strage di Sinnai del 1991, in cui tre pastori vennero uccisi e uno ferito. Fu proprio l’unico superstite di questo massacro, Luigi Pinna, a indicare Zuncheddu come colpevole. Oggi è stato possibile riconoscere l’innocenza del pastore sardo grazie ad alcune intercettazioni ambientali e telefoniche e per una nuova testimonianza del sopravvissuto alla strage. Infatti, Pinna ha recentemente dichiarato di non aver visto il carnefice in faccia, in quanto coperto in volto da una calza, e ha ammesso di aver mentito sotto le pressioni di un agente di polizia. Zuncheddu è stato incarcerato ventisettenne e ha trascorso 33 anni della propria vita recluso in una cella. Una volta scagionato, ha dichiarato: «Desideravo avere una famiglia, costruire qualcosa, essere un libero cittadino come tutti. Trent’anni fa ero giovane, oggi sono vecchio. Mi hanno rubato tutto».

Un caso internazionale di errore giudiziario è quello di Anthony Graves, un afroamericano condannato nel 1992 in Texas per aver preso parte all’omicidio di sei persone. Il vero autore della strage, un poliziotto, lo aveva accusato solo perché il Pubblico Ministero gli aveva detto che, se avesse confessato di avere un complice, avrebbe ottenuto una riduzione della pena. Graves ha trascorso 18 anni in carcere, di cui 12 nel braccio della morte. La sua salvezza è stata possibile grazie a Nicole Casarez, professoressa dell’Università St. Thomas, che con i suoi alunni del corso di giornalismo ha lavorato per provare l’innocenza del condannato. Nel 2006, la Corte federale d’appello americana ha annullato la condanna contro Graves. Nonostante l’annullamento Graves è rimasto in carcere per altri quattro anni.

La Chiesa si è espressa tante volte dalla parte di coloro che soffrono per condanne ingiuste. In una preghiera dell’aprile 2020, Papa Francesco ha affrontato questo argomento proponendo un parallelo con la storia di Cristo. «Abbiamo visto la persecuzione che ha subito Gesù – ha dichiarato il Papa – e come i dottori della Legge si sono accaniti contro di lui: è stato giudicato sotto accanimento, con accanimento, essendo innocente. Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per accanimento».