
11 Nov Il Discorso di risveglio alla fede secondo il veicolo universale
Tra fondazione di una cultura occidentale buddista e domande poste al monoteismo
Mauricio Alberto Yūshin Marassi coordina la Stella del Mattino, Comunità Buddista Zen Italiana e tiene un corso sulla cultura del dialogo interreligioso all’Università degli Studi di Urbino. Tra le sue recenti pubblicazioni: Incontrarsi al cuore: dialogo cristiano-buddista sull’amore-compassione (con M. Nicolini-Zani), Pazzini, Rimini, 2015; La via libera. Etica buddista e etica occidentale (Stella del Mattino, 2013); Il sutra del diamante. La cerca del paradiso, Marietti, Genova, 2011.
Professor Marassi, curando la traduzione e l’edizione del Discorso di risveglio alla fede secondo il veicolo universale (Marietti, Genova, 2016), lei ha voluto confrontarsi con un’opera scritta quindici secoli or sono in lingua cinese e collocata nel Canone Buddista dell’Asia orientale. La tradizionale attribuzione autorale ad Aśvaghoṣa non è facilmente riconducibile ad una figura storica precisa. È legata piuttosto al fenomeno della pseudepigrafia e allo sviluppo del “capitale-simbolico”, che ha garantito successo e diffusione considerevoli al testo. Come lei ricorda, in prospettiva buddista ciò non ne mette in discussione né l’autenticità né il valore intrinseco, dato che questi sono determinati dalla pratica che si fa dell’opera nella propria vita. Ciò è quanto è stato confermato dalla storia e ha vissuto in prima persona. In quale occasione è entrato per la prima volta in contatto con il Discorso?
Quando, nel 1978, fui accolto nel monastero eremo Antaiji, in Giappone, una delle prime domande che l’abate mi fece, fu se avevo letto il Discorso. Scoprii in seguito che non solo nella tradizione di Antaiji, ma in tutto lo zen giapponese, a quell’opera si attribuisce particolare importanza. La cosa mi parve particolarmente interessante perché notoriamente la scuola Zen non ha testi di riferimento. Immaginai quindi che il Discorso dovesse avere caratteristiche speciali, sufficientemente fondate e contemporaneamente “neutre”, prive di legame diretto con qualche tipo particolare di Buddismo. Mi ripromisi quindi di verificare quanto andavo immaginando. Sei anni or sono pensai di essere pronto, così cominciai a studiarne la storia e i contorni, poi mi dedicai alla traduzione.
Il titolo dell’opera, per lo più sconosciuta in Occidente fino alla fine del XIX secolo, merita un chiarimento. Ritorneremo sulle finalità del suo lavoro, ma mi limito a ricordare che, nella sua volontà di “traghettare” uno scritto così complesso in Occidente, lei mette in guardia da qualsiasi omologazione con le fedi abramitiche. La chiarificazione del vocabolario è necessaria per evitare che si proiettino su alcuni termini significati della nostra cultura. Come intendere parole quali “discorso”, “risveglio”, “fede”, “veicolo universale” (il Mahāyāna)?
Per “discorso”, in questo caso, direi: “trattazione organizzata e completa”. “Risveglio”, solo nel titolo – altrove lo stesso termine è usato con significato affatto diverso essendo traduzione di un altro ideogramma –, è la traduzione del segno 起, (traslitterato “qi”, letto “ci”), letteralmente “sorgere”, “prendere inizio”. In questo caso, il senso complessivo del titolo è “stimolare la fiducia, attraverso una trattazione che ci aiuti a comprendere la grande importanza e affidabilità dell’insegnamento del Buddha”. “Fede”, qui come in tutto il Buddismo, è un supporto o sostegno per iniziare e proseguire un percorso difficile e senza fine quale è la via buddista. È un elemento trasformativo della coscienza, contribuendo a diffondere serenità in luogo dello scoramento. Il “veicolo universale” è ciò con il quale mi identifico quando imparo a scomparire (quindi, si può dire che è ciò che sono già) vanificando i confini tra me e altro da me. L’esistenza fenomenica di un mondo, personale e impersonale assieme, quando evaporano l’egoismo, le preferenze, le convenienze e i pensieri vani. Come il Buddismo delle origini, il Buddismo della riforma, o mahāyāna, ha al suo centro una pratica di spogliazione degli aspetti appropriativi dell’individuo e del suo mondo. Ciò che “resta” in seguito a questa spogliazione è detto mahāyāna, da me tradotto con “veicolo universale”.
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