Quante sono le domande a Dio e di Dio

da Il Sole 24 Ore – 11 febbraio 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi parla dell’ars interrogandi in ambito religioso

«L’arte di interrogare non è facile come si pensa. È più arte da maestri che da discepoli. Bisogna aver già imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa». È nella sua Nuova Eloisa (1761) che Rousseau propone questa sorta di aforisma sull’ars interrogandi, un’arte raffinata e strutturale alla scienza, alla filosofia e alla stessa religione: chi non ha mai sentito il “Perché?” scagliato verso l’alto a un Dio muto e indifferente da chi è travolto dal turbine della sofferenza (Giobbe insegna)? Essa è già in nuce nella persona umana, come attestano gli implacabili “Perché?” dei bambini.

Parlavamo della religione: ebbene, stando al calcolo di un esegeta, Ludwig Monti, che al tema ha dedicato un intero volume, Le domande di Gesù (San Paolo 2019), Cristo ha lanciato almeno 217 interrogativi e ne ha ricevuti 141. Il più famoso è forse quel «Voi chi dite che io sia?», fatto serpeggiare tra i suoi discepoli e assunto da Mario Pomilio come emblema nel suo Quinto evangelio (1975): «Cristo ci ha collocati di fronte alla domanda: Ma voi chi dite che io sia?».

Questo interrogativo è proprio una delle 18 Domande di Dio, domande a Dio che sostengono un vivace volume a due voci che duettano proprio attorno a quelle domande in modo molto originale e fin provocatorio, considerata la personalità di due interlocutori, entrambi religiosi domenicani. Da un lato, c’è Timothy Radcliffe, uno dei più noti autori spirituali non solo nel mondo anglosassone (ha ricevuto il dottorato onorario dall’università di Oxford) ma ormai a livello quasi planetario anche perché è stato il superiore generale (il titolo è “Maestro generale”) dell’Ordine dei Predicatori, cioè i domenicani. D’altro lato, c’è un apprezzato biblista, Lukasz Popko, docente a Gerusalemme.

Difficile è rendere ragione di questo dialogo perché è mobile, intarsiato di rimandi sorprendenti eppure sempre pertinenti, soprattutto letterari (da Blake a Tolstoj, da Waugh a Orwell, da Auden a Steinbeck e a un emozionante Bulgakov col suo Pilato tormentato, e così via). C’è, però, anche la presenza di film, di personaggi contemporanei, di artisti celebri e quasi ignoti (delizioso è l’incontro di Gesù con la donna samaritana dipinto da Monika Sawionek), del rabbino Jonathan Sacks e persino della smemorata filosofa Elizabeth Anscombe che consegnò «per errore uno dei suoi figli al deposito bagagli, portando con sé il bagaglio in carrozza».

Ovviamente il discorso tra i due, pur scoppiettante, si aggancia alle domande bibliche, a partire dalla prima, radicale e lacerante, quel «Dove sei?», rivolto dal creatore a un Adamo peccatore celato in un nascondiglio. Ugualmente “artigliante” come il segno grafico dell’interrogativo, è quel «Dov’è Abele, tuo fratello?» che piomba sul fratricida Caino, oppure l’ironico «È bene per te arrabbiarti?» lanciato contro il petulante e integralista profeta Giona. O quel delicato eppur severo «Mi ami più di costoro?» indirizzato per tre volte a un Pietro imbarazzato che ha alle spalle un tradimento.

Molte sono, però, anche le “domande a Dio” con quel vano «Qual è il tuo nome?» che Giacobbe zoppicante per il duello con lui rivolge al misterioso essere divino con cui si è scontrato sulle sponde di un affluente del Giordano (Genesi 32,23-33). O la prima parola di Maria registrata dai Vangeli: «Come questo avverrà?», e destinata a quell’angelo che le fa balenare una maternità eccezionale. Per stare ancora a Maria, c’è anche il rimprovero nei confronti del dodicenne Gesù fuggito da solo nel tempio di Gerusalemme: «Bambino, perché ci hai trattato così?» (Luca 2,41-52).

In verità questo appellativo non è tradotto correttamente perché in greco è téknon, «figlio», e a 12 anni allora si celebrava il bar mitzvah della maggiore età (ora a 13 anni nell’ebraismo): quindi, l’evangelista – anche nel modo con cui Gesù “maggiorenne” e non “bambino” risponde ai genitori – vuole sottolineare la dignità di questo «Figlio» che ha un Padre trascendente e non rappresentare tanto la preoccupazione di Maria e Giuseppe per i quali «a 12 anni era troppo presto che il loro figlio potesse girare liberamente per Gerusalemme». Andando più avanti quante volte è stata citata la domanda scettica di Pilato a Gesù in stato d’arresto: «Che cos’è la verità?», divenuta proverbiale anche nella versione latina Quid est veritas ?, anagrammata da alcuni nella risposta Est vir qui adest, la verità è «l’uomo che ti sta davanti».

Naturalmente a interessare sono le variazioni che i due dialoganti intessono sulle domande bibliche selezionate: si pensi solo al ricamo che si crea sulla citata battuta di Pilato, tenendo conto delle attuali “fake news”, con folgoranti esempi di risposte selvagge dei social ma anche di Putin sulla guerra in Ucraina o delle teorie cospirazioniste del QAnon. Particolarmente intenso è il capitolo riservato a quel gioiello poetico che è il Cantico dei cantici, annodato attorno a questa domanda della protagonista: «Non hai visto colui che il mio cuore ama?» (1,12-2,7). Contro ogni lettura allegorica che cerca di far evaporare tutto l’eros contenuto in questi 117 versetti, Radcliffe e Popko li riportano alla loro autenticità che consacra il corporeo, la bellezza e il sentimento e lo rende nell’innamoramento dono reciproco e, quindi, spirituale non nel senso etereo ma trasfigurato.

C’è una domanda che avremmo desiderato incontrare ed è invece assente. Ritornando a Gesù, inquietante è quel «volete andarvene anche voi?», rivolto ai discepoli sconcertati dopo il suo “scandaloso” discorso di Cafarnao (Giovanni 6,22-71).