Meister Eckhart, caleidoscopio di fede e vita reale

da Il Sole 24 Ore – 24 marzo 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi commenta la raccolta di sermoni di Meister Eckhart curata da Marco Vannini.

«Con grande dolore annunciamo che, in questi tempi, un certo Eckhart, dei paesi tedeschi e, secondo quanto si dice, Dottore e Professore di S. Scrittura, dell’Ordine dei Predicatori, ha voluto sapere più del necessario in modo imprudente e non conforme alla regola della fede, allontanando l’orecchio dalla verità e rivolgendosi a invenzioni. Sedotto dal padre della menzogna…, egli ha insegnato numerose dottrine che oscurano la fede in molti cuori, esprimendole specialmente nelle sue prediche di fronte al popolo incolto e anche ponendole per iscritto».

Seguivano 26 tesi condannate, ma anche una clausola inattesa: «Il sunnominato Eckhart, confessando alla fine della sua vita la fede cattolica, revocò, quanto al loro senso, e ripudiò i 26 articoli suddetti e sconfessò tutto quello che, da lui predicato o scritto o insegnato nelle scuole, potesse indurre nell’animo dei fedeli un senso ereticale o erroneo e contrario alla fede». Così si leggeva nella bolla In agro dominico emessa il 27 marzo 1329 dal papa francese Giovanni XXII, durante la nota “cattività avignonese” della sede di Pietro (1309-1377), un pontefice fustigato aspramente da Dante attraverso la voce dello stesso Pietro nel canto XXVII del Paradiso (vv. 58-59) e nel XVIII dell’Inferno con un’invettiva dello stesso poeta (vv. 130-136).

Le parole minacciose della bolla sono scagliate contro uno degli autori spirituali e dei teologi più originali e provocatori del Medio Evo, Meister Eckhart: dalla finale di quel testo apprendiamo la notizia della sua morte appena avvenuta. Egli, infatti, era stato convocato ad Avignone nel 1327-28 per la sessione suprema del processo intentato contro di lui a Colonia dal locale arcivescovo nel 1326, città nella quale era docente nello Studio (Università) dei Domenicani (Predicatori). Della sua biografia sappiamo poco: nascita in Turingia attorno al 1260, studi a Parigi ove diverrà poi magister, priore a Erfurt e poi provinciale dei Domenicani di Sassonia.

Nella bolla si fa riferimento esplicito alle sue “prediche” che egli teneva prevalentemente in tedesco con un forte impatto popolare. Abbiamo la possibilità di riascoltarlo idealmente in una riedizione curata da uno dei maggiori esperti italiani di Eckhart, Marco Vannini, grande e originale interprete anche del fenomeno mistico, soprattutto medievale. I sermoni offerti nella raccolta sono 104 (se ne riconoscono come autentici 113) e costituiscono uno straordinario caleidoscopio di temi, impostati in forma sempre creativa e spesso inattesa. La struttura è classica: alla base si ha un versetto biblico (il primo sermone, ad esempio, è retto da Matteo 21,12: «Gesù entrò nel tempio e cominciò a scacciare quelli che vendevano e compravano»), affidato poi a un commento di taglio allegorico e a un’“armonica” di altri passi scritturistici, patristici e anche classici, a cui segue un appello finale nella speranza che Dio conduca alla Verità perfetta.

La trama tematica dei sermoni rivela alcuni snodi capitali che sono ampiamente illustrati da Vannini, tenendo conto anche delle altre opere latine, in particolare i trattati. Ne facciamo solo cenno, data la complessità dello svolgimento teorico, che ricorre anche alle rationes naturales dei filosofi, e la vertigine che genera un pensiero amante del paradosso e della radicalità. Concetto-chiave è il “distacco” che rimanda al limite e alla parzialità del volere umano da cui ci si deve liberare in un atto di svuotamento e di nudità che tocca anche il legame religioso con Dio. Si giunge, così, a un totale superamento dell’ego psicologico per approdare allo spirito che è quel «fondo dell’anima» – altro tema nodale in Eckhart – che si identifica col «fondo» stesso di Dio, così da divenire «uno nell’Uno».

È così che nell’anima umana e divina si compie la generazione del Logos in un atto trinitario, il tutto descritto in modo arduo, ardito e ardente. Fermiamoci qui, lasciando all’introduzione di Vannini a questa edizione dei Sermoni eckhartiani di delineare una mappa che esige un esercizio intellettuale destinato ad affacciarsi su abissi di antropologia teologica (tra l’altro, lo studioso ha dedicato vari saggi a questo pensiero così mobile e sorprendente). Noi ora evochiamo solo un aspetto semplice e affascinante nel predicatore tedesco, il rimando alla simbologia naturale e quotidiana, incastonata nelle riflessioni di alta caratura teologica: il mondo vegetale e animale, l’universo cosmico, l’orizzonte terrestre, coi suoi ritmi e paesaggi. Il tutto segnato dalla «purezza e riconoscenza verso la vita, dalla gioia dell’essere, dalla multiforme luce divina, con un’abbondanza e profondità che richiama, al lettore italiano, la profondità simbolica della Divina Commedia», contemporanea alla predicazione del Meister.

In conclusione, l’ascolto di questi discorsi può creare uno straniamento anche gioioso. Certo, stupiscono alcuni ribaltamenti o riletture dialettiche come nel sermone 86 ove nel famoso episodio del Vangelo di Luca (10,38-42) le due sorelle di Lazzaro sono rimodulate nel loro significato simbolico: Maria sceglie «la parte migliore» dell’interiorità, strada che conduce al «fondo dell’anima», eppure Marta – che sembra da Cristo sminuita – diventa più perfetta di Maria perché va oltre il percorso della sorella attraverso l’impegno per gli altri col suo servizio. Forse, alla fine, non impressiona più quanto scriveva un agnostico come André Gide: «Senza mistica non si raggiunge nulla di grande». Persino Bertrand Russell apriva un suo saggio affermando che «i più grandi filosofi hanno sentito il bisogno sia della scienza sia della mistica».