Lutero e l’Islam, pregiudizi e dialogo

da Il Sole 24 Ore – 25 febbraio 2024 – di Gianfranco Ravasi.

«Mamma, li Turchi!»: in questa locuzione gergale, che spesso costellava storie e favole, si raggruma la memoria di un incubo reiterato, a partire da quel 1453 in cui Maometto II – che conosciamo per l’intenso ritratto dedicatogli da Gentile Bellini, pittore veneto convocato alla sua corte – conquistò Costantinopoli trasformandola in capitale dell’Impero Ottomano. Incubo che sconvolse l’Europa quando nel 1529 l’esercito turco assediò Vienna, minacciando (invano) di dilagare nel nostro continente. È proprio in quell’anno che Martin Lutero compone la sua Guerra contro i Turchi, opera che ebbe presto sette edizioni, riflettendo quindi il panico che pervadeva la società di allora.

Abbiamo ora la possibilità di leggere questo saggio, tradotto con testo tedesco a fronte, assieme ad altri quattro scritti che vertono sulla «questione turca» e che possono essere rubricati sotto il titolo più generale Lutero e l’Islam, anche perché era quel popolo a incarnare allora il mondo musulmano. Accadrà lo stesso per i Saraceni, tribù araba sinaitica coalizzata coi corsari arabo-berberi. Dopo aver approfondito il complesso e spinoso legame del Riformatore con l’altra religione monoteistica nel saggio Gli ebrei di Lutero di Thomas Kaufmann, la collana “Opere scelte – Lutero” dell’ed. Claudiana punta ora all’altrettanto tormentato rapporto con l’islam. A guidarci in questo vasto e ramificato orizzonte è quello straordinario studioso valdese che è Paolo Ricca: a lui dobbiamo, infatti, un’introduzione che è in realtà un vero e proprio saggio, il cui taglio scientifico non ne impedisce la lettura godibile anche a causa di un dettato quasi narrativo. Egli pone sul tappeto tutti i dati di questi scritti luterani di vario genere e approccio, ma li sottopone a una acuta e necessaria ermeneutica contestuale. L’islam, incarnato dai Turchi, è visto da Lutero come uno dei due pericoli maggiori per la cristianità, insieme al papato, un rischio già ventilato in altre sue pagine precedenti a partire dal 1513-15 ove esso era associato agli ebrei, agli eretici e ai pagani.

In quel periodo anche Erasmo di Rotterdam era turbato dall’irruzione di questi “barbari”, ma in tale ambito, come in altri, rivelava un atteggiamento più raffinato ed “ecumenico” ricordando che i Turchi «sono in primo luogo esseri umani e per di più semi-cristiani», avallando l’ipotesi allora diffusa che l’islam fosse un’eresia di matrice giudaico-cristiana (anche Dante colloca Maometto nel canto XXVIII dell’Inferno tra i seminatori di discordia e, quindi, gli eretico-scismatici). Altro approccio meno aggressivo e persino dialogante era stato manifestato anche da Raimondo Lullo e dal Cusano.

Ma ritorniamo alla Guerra contro i Turchi e agli altri scritti di Lutero. Egli sostiene la guerra di Carlo V in difesa dei cristiani come atto politico, escludendo però che essa sia una guerra santa: «La spada dell’imperatore non ha nulla a che fare con la fede». Interessante è, poi, l’invito a conoscere la dottrina musulmana per evitare «bugie grossolane sui Turchi usate per aizzare noi tedeschi contro di loro». Certo, essi sono «servi del diavolo», ma possono manifestare «altre buone e belle virtù, dato che nessuna persona è così malvagia da non avere in sé qualcosa di buono», persino rivelandosi migliori di certi cristiani, rimanendo comunque sempre diabolici perché il demonio può rivestirsi da angelo.

Proprio nella linea della conoscenza del pensiero musulmano si collocano due prefazioni di Lutero: a un Libretto sulla religione e i costumi dei Turchi (1530) e, sorprendentemente, a una nuova edizione del Corano in versione latina, pubblicata a Basilea nel 1543. Antecedente (1529) è, invece, una Predica da campo contro i Turchi, in realtà mai pronunciata davanti a militari, basata sul c. 7 del libro biblico di Daniele, che era una sintesi simbolica del giudizio di Dio sugli imperi dell’antico Vicino Oriente. A Lutero stava a cuore in questa allocuzione la sorte degli ostaggi cristiani in mano agli Ottomani, tentati dall’abiura per salvare la vita.

C’è, poi, da segnalare anche l’ultimo dei cinque scritti, l’Esortazione alla preghiera contro i Turchi (1541), ove affiora una severa autocritica perché i cristiani per primi sono peccatori e devono “fustigarsi”, e imparare «a temere Dio e a pregare» perché la Germania «è piena di ogni genere di peccati contro Dio». Da un lato, dunque, è netto in Lutero un pregiudizio anti-islamico, causato da una sorta di atmosfera apocalittica generata dall’avanzata turca per cui, come annota Ricca, «col nemico di Dio non si dialoga neppure si discute: l’unica possibilità è combatterlo, sperando di abbatterlo».

D’altro lato, però, lo stesso studioso di questi testi luterani invita a discernere all’interno di una demonizzazione dell’islam, frutto di contingenze storico-culturali, alcune componenti che possono essere accolte – sia pure demitizzate dalle coordinate contestuali – anche oggi, mentre stanno allignando reazioni roventi improntate allo schema dello scontro tra civiltà. Si pensi al tema della conoscenza genuina dell’islam, all’autocritica che i cristiani devono opporre al loro comportamento incoerente, alla distinzione tra politica e religione, per cui è illecita la “crociata”, ossia la guerra santa, e alla sollecitudine pastorale per i cristiani prigionieri e schiavi dei Turchi. Certo, ben diversa è ora la sensibilità per un dialogo interreligioso ed è questa la via da percorrere, come ripete papa Francesco sulla scia del Concilio Vaticano II, anche se si tratta sempre di un accidentato sentiero d’altura.

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