Le memorie di Adriana, lezione di divinità

da Il Sole 24 Ore – 16 luglio 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi racconta di come il teologo Francesco Occhetto abbia trovato nelle pagine dei Diari dell’autrice Adriana Zarri, una grande carica di spiritualità e di ricerca negli abissi dell’anima.

Nella memoria televisiva di chi ha un po’ di anni sulle spalle c’è indubbiamente il Michele Santoro di «Samarcanda». Fu lui a escogitare la presenza di una teologa (un genere allora rarissimo) che era anche scrittrice e capace di sintonia creativa con le provocazioni che costellavano e reggevano quella trasmissione. Si trattava di Adriana Zarri che dal 1988 al 1991 incastonò nelle varie puntate le sue «parabole» fantasmagoriche ma incisive, raccolte poi in un volume dal titolo, originale come il contenuto, Apologario (Camunia 1990). Figura osteggiata, non sempre a torto, da un certo establishment ecclesiastico e politico, questa donna carica di una fede che sconfinava nella mistica, protagonista veemente e ardente negli anni post-conciliari, è stata rispolverata dall’oblio in questi ultimi anni.

In particolare è da segnalare la biografia, veramente esemplare per accuratezza non solo documentaria ma anche per l’acutezza dell’interpretazione del pensiero, pubblicata nel 2020 dalla storica Mariangela Maraviglia presso il Mulino col titolo Semplicemente una che vive. Ora, invece, con altrettanta passione e consonanza Francesco Occhetto ha sfilato dalle carte lasciate da Adriana, che era anche feconda autrice, le pagine dei suoi Diari, redatti sui quaderni scolastici del nostro passato con la copertina nera. Essi coprono l’arco 1936-1948, a partire, quindi, dai suoi 17 anni, essendo nata a San Lazzaro di Savena (Bologna) nel 1919 da una famiglia della media borghesia emiliana, proprietaria di un’azienda agricola e di un pittoresco mulino, passibile di trasfigurazioni simboliche.

Dopo un’esperienza in una comunità religiosa, inizia un’avventura testimoniale di ricerca che oscilla tra teologia e analisi socio-politiche, ma con incursioni anche nell’orizzonte letterario sia saggistico, sia narrativo. A quest’ultimo riguardo, il primo romanzo è del 1955, Giorni feriali (IPL) e l’ultimo del 2008, Vita e morte senza miracoli di Celestino VI (Diabasis), emblematico già nel protagonista fittizio, il papa Celestino VI. Egli è pronto a smantellare le eccessive strutture ecclesiali, ma anche certi nodi della tradizione teologica introducendo il sacerdozio femminile e l’elezione dei vescovi da parte delle chiese locali ed è persino deciso a restituire lo Stato della Santa Sede all’Italia con la clausola, però, di trasformare i giardini vaticani in parco pubblico.

Ma al di là dei vari romanzi, talora apparsi presso gli stessi editori maggiori come il Dodici lune che sarà riedito nel 1990 da Rizzoli, l’opera della Zarri fu condotta totalmente all’insegna del Concilio Vaticano II del quale fu definita la «Pasionaria», accanto alle figure più note di p. Balducci, don Primo Mazzolari, p. David Maria Turoldo, Mario Gozzini e così via. Il ventaglio dei suoi interventi, soprattutto giornalistici, attraversarono e scossero –con non poche provocazioni – non solo la Chiesa di quel periodo ma anche la vita sociale, politica ed economica, sempre però conservando un forte ancoraggio alla fede, cercata e vissuta nella sua nudità.

Ed è qui che si colloca la temperie mistica di questa testimone che la condusse a vivere come un’eremita in una cascina sperduta del Canavese, secondo il ritmo di vita monastico, una sede che dovette abbandonare dopo una traumatica aggressione notturna nel 1984. Ma non rinunciò mai a questo sogno, trovando altrove, in un’ex-canonica, Cà Sàssino a Strambino nel Torinese, un orizzonte solitario dal quale, però, continuava a gettare lo sguardo, a percorrere e a provocare il mondo esterno. Là morirà a 91 anni nel 2010, in compagnia della sua amata gatta Arcibalda e di pochi amici che l’assistevano.

Sono, comunque, questi Diari a svelare la sua potente carica di fede, di spiritualità, di contemplazione ma anche di scavo negli abissi dell’anima e di ascesa nei cieli della trascendenza. Il bellissimo titolo assegnato dal curatore a queste pagine vuole appunto alonare della luce delle stelle e, quindi, del mistero, dell’Oltre e dell’Altro la voce di una cercatrice di Dio, con tutti i sussulti, gli scarti, gli inciampi che aveva il suo cammino terreno. La lettura di questi appunti, spesso affidati a un dettato quasi poetico, capace però di non perdere la sua carnalità e di non escludere la quotidianità degli eventi, può diventare anche oggi uno stimolo per la scoperta di valori, di verità, di virtù ma soprattutto del volto di Dio e della mappa della nostra anima.

Occhetto accompagna con sobrietà chi si inoltra in questo orizzonte personale eppure non esclusivo, scandendo i Diari in tre tappe (1936; 1941-43; 1947-48) e raccogliendo alcuni frammenti sparsi di straordinaria intensità (L’arcobaleno delle ore), cesellati da preghiere folgoranti. Ma è dalla sua poesia più nota Epigrafe che estraiamo alcuni versi terminali. «Non mi vestite di nero: è triste e funebre. / Non mi vestite di bianco: è superbo e retorico. / Vestitemi a fiori gialli e rossi / e con ali di uccelli… / In mano ho foglie verdi… / E, sulla tomba, non mi mettete marmo freddo, / con sopra le solite bugie / che consolano i vivi. / Lasciate solo la terra / che scriva, a primavera, un’epigrafe d’erba…».