L’attualità delle ferite di Cristo

da Il Sole 24 Ore – 17 marzo 2024 – di Gianfranco Ravasi.

«Adorare, tacere, godere»: così, ormai morente, aveva sussurrato ad Alessandro Manzoni che si era recato a Stresa a dargli l’ultimo saluto suggellando incontri, dialoghi, consonanze ideali e spirituali raccolte poi nelle Stresiane. Dopo una dolorosa agonia di otto ore, si spegneva Antonio Rosmini: era l’alba del 1° luglio 1855 ed egli aveva 58 anni, essendo nato a Rovereto nel 1797. L’esistenza di questo straordinario sacerdote e pensatore, figura capitale non solo nella vita ecclesiale e culturale ma anche politica dell’Ottocento, era stata gloriosa e tormentata e quella trilogia verbale, affidata all’autore dei Promessi Sposi, costituiva quasi una sintesi autobiografica mistica ma anche un po’ paradossale.

Da un lato, infatti, la trama della sua vita, segnata nel 1821 dall’ordinazione presbiteriale, aveva registrato una sequenza di contatti di alto livello, persino con papi, politici e grandi autori (Gioberti, Tommaseo, Cesare Cantù, La Mennais e, appunto, Manzoni del quale lesse in bozze nel 1826 il suo capolavoro). Pio IX nel 1848 gli preannunziava la porpora e nelle stanze vaticane si vociferava che il pontefice l’avrebbe voluto Segretario di Stato. In visita alla sua casa storica di Rovereto, io stesso potei vedere, custodite in vetrine, le vesti cardinalizie già approntate e mai indossate.

D’altro lato, infatti, come accade non di rado nei palazzi anche sacri, avvenne una svota radicale. Pochi mesi dopo quell’udienza, nel 1849, lo stesso papa sanzionava la condanna all’Indice dei libri proibiti di due sue opere. Una di esse è il celebre saggio Delle cinque piaghe della santa Chiesa, lungamente elaborato nel 1832-33, ritoccato e pubblicato anonimo a Lugano solo nel 1848, in seguito all’ascesa al soglio di Pietro (1846) proprio di quel Pio IX che l’avrebbe portato dall’altare alla polvere. Ebbene, l’opera riappare ora in libreria in una riedizione esemplare curata dal vescovo Nunzio Galantino, collaboratore anche del nostro supplemento.

A lui dobbiamo un’ampia introduzione – posta all’insegna della libertà e dell’amore che Rosmini aveva attestato per la Chiesa nei giorni luminosi e in quelli di bufera – un ricco commentario al testo ricostruito nella forma ultima voluta dall’autore, un accurato indice analitico e una preziosa bibliografia ragionata e allargata sia alle versioni, sia all’intera architettura del pensiero rosminiano. Molto suggestiva è la postfazione di uno dei nostri migliori teologi, Giuseppe Lorizio, che attualizza in contrappunto «le piaghe di ieri e/o quelle di oggi» della Chiesa, mostrandone gli elementi datati del saggio, ma anche «l’indiscutibile attinenza al presente».

Come si evince dal titolo stesso, i cinque capitoli dell’opera di Rosmini scandiscono le piaghe del Cristo crocifisso, ferite che permangono anche nel Risorto, se è vero che Tommaso, l’apostolo incredulo, è invitato a mettervi la mano, come mostrerà Caravaggio nell’impressionante tela di Potsdam. Cerchiamo, allora, di seguire questa simbologia partendo dalla prima piaga, quella della mano sinistra: essa sanguina ancora a causa della divisione tra popolo e clero nella liturgia e nella supremazia del ministero sacerdotale sul sacerdozio comune dei fedeli. Si immagina facilmente la preveggenza di Rosmini rispetto a temi che sono stati sul tappeto nel Concilio Vaticano II e nel Sinodo votato da papa Francesco.

L’insufficiente formazione del clero che si manifesta in un deficit culturale ma anche sociale è la seconda piaga, quella della mano destra. Si scende, poi, sul costato lacerato di Cristo in croce e qui si rivela la letale divisione dei vescovi tra loro che si riflette sull’unità armonica della Chiesa, delineata da Rosmini in contrasto con un passato ideale e forse visto come eccessivamente idilliaco. Davanti a noi si profila la quarta piaga del piede destro del Crocifisso: è la nomina dei vescovi spesso affidata al potere politico. Il riferimento è certamente a un’epoca storica superata (si pensi all’episcopato di elezione napoleonica o al veto degli imperatori cristiani da opporre nei conclavi papali), tuttavia conserva una sua attualità nel fenomeno mai sopito delle reciproche ingerenze tra Chiesa e Stato o della commistione tra fede e politica.

L’opera si conclude con la quinta piaga nel piede sinistro di Cristo: di scena è «la servitù dei beni ecclesiastici», eco permanente di un feudalismo che ora si ripropone in forme diverse nel rapporto col denaro, con le degenerazioni finanziarie e, più in generale, col potere temporale o quel clericalismo spesso denunciato da papa Francesco, alla radice anche degli abusi sui minori o sulle persone fragili. Come si intuisce, questo pentagramma è aperto ancor oggi sul tavolo della pastorale ecclesiale. Certo, nella lettura delle pagine rosminiane si intravedono le contingenze storiche, ma il pulsare di quelle piaghe è tuttora fremente.

Come scrive Lorizio nella sua postfazione, esse «vanno fasciate, non per nasconderle ai nostri occhi e a quelli del mondo, bensì per curarle e guarirle con l’olio della consolazione e l’aceto dello stimolo alla conversione». A margine ricordiamo che Rosmini fondò nel 1828 una comunità religiosa, l’Istituto della Carità (detto dei Rosminiani) con la missione educativa in collegi e scuole, con l’annuncio del messaggio cristiano attraverso il dialogo con i non credenti, la cura degli emigrati e le pubblicazioni. Tra i membri di questa comunità è da segnalare un convertito che è stato uno dei poeti più intensi e originali del Novecento, Clemente Rebora, anche egli morto a Stresa nel 1957.