L’accoglienza (con riserve) per Gesù ebreo

da Il Sole 24 Ore – 10 dicembre 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi fa un approfondimento del saggio di Fabio Ballabio e Massimo Giuliani, dove studiosi dalle diverse estrazioni giudaiche si confrontano con la figura di Gesù di Nazareth.

Il film Rapito di Bellocchio ha riportato alla ribalta un tema molto complesso e profondo, quello del tormentato e secolare confronto tra l’ebraismo e il cristianesimo. In realtà, dal tempo di Pio IX il dialogo ha registrato una svolta radicale. Era il 1947, alle spalle vibrava ancora l’orrore della Shoah: a Seelisberg, nel cantone svizzero di Uri, si erano ritrovati ebrei e cristiani per iniziare un incontro nell’ascolto reciproco che avrebbe lentamente ma incisivamente mutato il rapporto tra queste due fedi intimamente imparentate tra loro. Al centro di questo dibattito non poteva non dominare la figura di Gesù di Nazareth che Martin Buber, il noto filosofo ebreo personalista nel 1950 non aveva esitato a definire suo «fratello maggiore». Su queste pagine lo scorso 26 marzo, abbiamo recensito la riedizione italiana del saggio di un altro ebreo, Schalom Ben Chorin, emblematicamente intitolato Fratello Gesù (1967).

Se vogliamo venire ancora più vicino a noi, un’importante testimonianza di Agnes Heller, filosofa ebrea ungherese, si rivolgeva a Gesù l’ebreo (Mimesis 2010), mentre uno dei maggiori neotestamentaristi cattolici contemporanei, l’americano John P. Meier, scomparso lo scorso anno, elaborava un’imponente architettura critica di ben cinque grossi tomi su Gesù come Un ebreo marginale (Queriniana 1991-2017). La ricerca storica recente ha, infatti, ricomposto in modo netto la continuità tra il rabbì di Nazareth e il giudaismo, una conformità spesso velata o dissolta in passato, pur riconoscendo un’indubbia originalità e difformità, talora radicalizzate in certi ambiti cristiani ma anche giudaici.

Nella storia, quindi, la figura di Gesù è stata «segno di contraddizione», come aveva preannunciato Simeone, un vecchio osservante ebreo presente nel Vangelo di Luca (2,34). Da un lato, la cristianità non ha esitato talora a premere il pedale dell’apologetica, come nel duro Dialogo con Trifone dello scrittore Giustino (160 circa), o in certe pagine dei Vangeli apocrifi, un atteggiamento che ha attraversato la stessa letteratura patristica ed è giunto fino nella modernità con alcuni movimenti cristiani fondamentalisti. D’altro lato, non si può ignorare che – dopo l’iniziale silenziamento su Gesù, visto come un problematico rabbì – lo stesso giudaismo medievale aveva imbracciato la polemica aperta, come accadde in quella sorta di parodia dei Vangeli che sono le Toledôt Jeshu‘, «le generazioni-genealogie di Gesù», in pratica le vicende deformate della sua vita.

Tuttavia si deve riconoscere che per stare al pensiero ebraico si è anche aperto un vasto orizzonte di accoglienza, sia pure venata di riserve. Esso è ora rappresentato dalla galleria di ritratti allestita da due appassionati e competenti artefici del dialogo ebraico-cristiano, Fabio Ballabio e Massimo Giuliani. Un folto gruppo di 14 studiosi ha, così, tracciato altrettanti bozzetti di personalità dalle diverse estrazioni giudaiche che si sono confrontate con Gesù di Nazareth, a partire dal Cinquecento con l’oscuro lituano Isacco di Troki e con uno dei maggiori rabbini rinascimentali, il veneziano Leone Modena.

Molti sono i nomi famosi: da Spinoza a Ernst Bloch, dal citato Ben Chorin a Jules Isaac e al suo suggestivo Gesù e Israele (1948), dal mirabile traduttore in prosa rimata dei due Testamenti, il franco-algerino André Chouraqui, a Géza Vermes, ebreo-ungherese divenuto prete cattolico e studioso dei manoscritti di Qumran, ma deciso poi a ritornare all’ebraismo, sposandosi e abbandonando il sacerdozio. E ancora, il problematico Eugenio Zolli, rabbino capo di Roma, convertito al cattolicesimo sostituendo nel battesimo il suo nome Israel con quello del papa di allora, Pio XII (Eugenio Pacelli). Oppure ecco Jacob Neusner, ebreo statunitense caro a papa Benedetto XVI per le sue opere Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù (Piemme 1996) e Un rabbino parla con Gesù (San Paolo 2008).

Il viennese-israeliano Pinchas Lapide, che ha un bel ritratto in questa raccolta, in un suo saggio del 1975 segnalava già ben 187 tra libri, studi, poesie, testi teatrali, monografie e saggi su Gesù apparsi in ebraico, a partire dalla costituzione dello Stato di Israele nel 1948. Si può, quindi, comprendere come la galleria a cui abbiamo fatto riferimento possa essere di molto allargata. Ci ha, così, stupito l’assenza di due alte figure che si sono confrontate intensamente con Gesù. La prima è quella di Joseph Klausner che nel 1922 in ebraico a Gerusalemme pubblicò Jeshu‘ ha-nozrî, Gesù il Nazareno, «primo libro su Gesù scritto da un ebreo per ebrei», come affermava nella prefazione.

La sua tesi era netta: Gesù è autenticamente ebreo, proprio sulla base del vaglio critico dei testi evangelici; fu san Paolo a trasformarlo ricorrendo al modello greco-romano della divinizzazione. Famosa è la sintesi lapidaria di Klausner: «La fede di Gesù ci unisce ai cristiani, la fede in Gesù ci divide». L’altro autore mancante è David Flusser, che fu docente all’università di Gerusalemme, col suo Jesus diffuso fin dagli anni 70 anche in Italia. Secondo questo autore Gesù ha portato le sue radici spirituali ed etiche ebraiche alla fioritura più feconda col comandamento dell’amore. In lui, però, sbocciò anche la coscienza di essere il «Figlio dell’uomo» messianico e questo segnò il suo rigetto da parte della corrente giudaica conservatrice dei Sadducei.

Tags:
,