La musica fa incontrare umano e divino

da Il Sole 24 Ore – 2 luglio 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il cardinal Ravasi racconta di come secondo il teologo Francesco Brancato la musica riesca ad esprimere i sentimenti più profondi dell’uomo.

In fuga verso la Siria dall’ira funesta del fratello Esaù a cui ha sottratto il diritto ereditario, Giacobbe s’addormenta stremato nella località di Betel. Un sogno attraversa il suo sonno: «Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo, ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa», latori di un messaggio di speranza in un futuro ritorno nella terra che ora il patriarca di Israele stava lasciando (Genesi 28, 10-15). Fin qui il racconto biblico. Elie Wiesel, il noto scrittore ebreo e Premio Nobel della pace 1986, risuscita un’antica tradizione giudaica che aggiunge un curioso particolare inedito: gli angeli dimenticarono di ritirare quella scala che è, così, rimasta sulla terra puntando verso il cielo.

Essa è la scala musicale: le sue note sono altrettanti gradini che conducono dalla storia alla trascendenza e fanno incontrare l’umano col divino. È per questo che già sant’Agostino col suo De musica impostava al riguardo un discorso teologico, un tema che si è affievolito nei secoli e che ha avuto una felice rinascita recentemente con figure di alto rilievo come Barth, von Balthasar, Ratzinger e persino Küng, mentre ai nostri giorni alfiere di questa ripresa è stato il teologo milanese Pier Angelo Sequeri con una serie di saggi di vivace originalità e creatività.

A questa accolta – che comprende ulteriori presenze come quella di un altro sacerdote milanese, Luigi Garbini – si unisce un affermato teologo catanese, Francesco Brancato, autore di molteplici e sorprendenti contaminazioni della riflessione religiosa con le arti visive, la letteratura, la scienza, la filosofia. Egli incarna quel modello che il pensatore ebreo alessandrino del I sec. d.C. Filone definiva come methorios, cioè capace di stare sul crinale tra due versanti e su frontiere aperte lungo territori differenti. La sua convinzione è che la musica sia un «luogo teologico in cui il mistero della fede si dice», anzi, esso viene «meglio compreso nei suoi stessi contenuti e quindi meglio professato».

Difficile è rendere conto di questo approccio per la vastità dell’orizzonte perlustrato e per l’imponente intarsio di autori convocati, a partire dal necessario Bach, scendendo lungo i secoli attraverso Mozart fino a Schönberg, Messiaen, Stravinskij, Pärt e così via, in una sorta di coinvolgente «teologia acustica». Noi ora segnaleremo solo due prospettive strutturali all’interno dell’impianto generale del saggio. Interessante è innanzitutto la declinazione di alcuni contrappunti armonici ma anche dialettici che la musica intercetta ed elabora. C’è, ad esempio, il nesso col silenzio che non necessariamente è l’antitesi del suono, come aveva attestato Schönberg nel suo Mosè e Aronne (ove, tra l’altro, al seducente canto di Aronne si oppone il secco recitativo imperativo di Mosè) o il celebre 4’ 33” di Cage. Capitale però, è l’incontro con la parola, anzi, con l’ineffabile che la musica riesce a «dire».

Naturale è anche l’incrocio con l’esistenza tant’è vero – come suggerisce Roger Scruton – che la musica classica è «parte di un ampio tentativo di far luce sulla condizione umana», per cui può dar forma a pensieri e sentimenti, connettendosi con l’intelligenza e i sensi. Decisivo è, a questo punto, anche il legame col tempo, trascendendo quello meramente cronologico attraverso un percorso che sfocia nell’eterno: Brancato offre al riguardo una vera e propria panoplia di esempi illuminanti attingendo, oltre che ai già citati compositori, anche a Debussy.

In crescendo, considerata la finalità della ricerca, è da porre infine l’incrocio tra musica e sacro e, quindi, la liturgia: tra gli altri, non poteva mancare l’originalità di Arvo Pärt. La conclusione è incisiva e decisiva: «La musica che conduce a Dio non cessa di essere “umana e mondana” una volta divenuta “divina”, ma esprime i sentimenti più profondi dell’uomo: la gioia, il dolore, le paure, le attese, le speranze, le delusioni, la nascita, la morte, il tempo».

Parlavamo sopra di due prospettive: l’altra si affida, invece, alle particolari «esegesi» o ermeneutiche a cui la musica sottopone i temi fondamentali della fede. Così entra in scena la creazione: tra i tanti musicisti, come non pensare all’omonimo oratorio di Haydn e la sua iniziale prodigiosa generazione di un celestiale e solare Do maggiore del caos di una modulazione infinita? Grandiosa è anche la meditazione sulla morte con gli straordinari Requiem di Verdi, Mozart, di Berlioz o le Passioni di Bach. La «dinamica teologica» della musica in dialettica con la mera temporalità ci fa affacciare però, anche sull’oltrevita. Dopo tutto, già l’Apocalisse era una palinodia per soli, coro e orchestra. Ecco, allora, l’inferno con la sconcertante presenza della musica nei campi di sterminio nazisti. O il paradiso che, secondo Barth e von Balthasar, sarebbe musicalmente diretto da Bach e Mozart…

Imponente è la documentazione che Brancato usa come palinsesto alla sua analisi, così come la bibliografia citata solo in calce e non in un più utile elenco generale. Si sarebbe forse evitato il curioso refuso sistematico presente nelle note (ma non nel testo), ove appare uno stravagante Janchélevitch, che è ovviamente il filosofo polacco Jankélévitch, autore dell’importante La musica e l’ineffabile.

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