La misericordia di Dante, oggi

Lo scorso anno è stato il settecentenario della morte di Dante Alighieri. Spesso abbandonata sui vecchi banchi scolastici, la sua maggiore opera, la Commedia – chiamata poi “Divina” da Boccaccio – oltre ad essere un’opera eccezionale dal punto di vista poetico, letterario e linguistico, ci porta a riflettere ancora oggi sul genere umano. A 700 anni dalla morte di Dante, la sua Commedia resta, quindi, incredibilmente attuale. Il cardine della Cantica del Purgatorio è la Misericordia di Dio. Le schiere di anime dell’Antipurgatorio cantano il Miserere «a verso a verso» (Pg. V, 24), ossia il primo salmo penitenziale: l’inizio del salmo 50 «Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam», composto dal re Davide per chiedere perdono a Dio del suo peccato. Nella Cantica dell’Inferno, le prime parole in assoluto che Dante pronuncia sono «Miserere di me […] qual che tu sii, od ombra od omo certo», perso nella selva oscura. Le prime parole di Dante sono quindi rivolte verso il Signore, in un grido di disperazione a causa del disorientamento esistenziale del peccato.

Ogni parola della Divina Commedia è carica di speranza, tanto che, come firma e conclusione di ogni cantica, c’è la parola «stelle». Ciò che Dante ci sprona a fare è guardare in alto, levare lo sguardo per elevare la propria anima. Nella tredicesima lettera a Cangrande dalla Scala, il Sommo Poeta descrive il fine della Divina Commedia come il rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli allo stato di felicità. Parafrasando Oscar Wilde, siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle. Mai nella storia dell’umanità un uomo aveva tentato di portare i viventi «dal fango alle stelle».

La Divina Commedia, e in particolare il Purgatorio, ci insegna anche che tutta la vita è mossa dal desiderio d’amore, anche quello infinito della Misericordia di Dio. Egli è «quei che volontier perdona» (Pg. III, 120), quindi la Grazia divina non è il pugnale usato per uccidere i soldati agonizzanti, chiamato curiosamente misericordia, ma, al contrario, l’unico strumento che ci permette di vivere liberi. La misericordia è stata anche il tema principale dello scorso Giubileo straordinario, con il motto «misericordes sicut Pater», misericordiosi come il Padre. Il motto di Papa Francesco è «Miserando atque eligendo», ispirato alla vocazione da parte di Cristo dell’Evangelista Matteo. L’eredità del Paradiso dantesco è anche qui: dobbiamo vivere «misericordiando», quindi compiendo atti di misericordia, e «scegliendo», ossia decidendo sempre di seguire il bene, perché è l’unico modo per essere pervasi da quell’amore «che move il Sole e l’altre stelle».

Margherita Pucillo