La clausola del legame Dio-Israele

da Il Sole 24 Ore – 24 settembre 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi racconta della circoncisione e di come nel libro di Roland Tomb,  questa procedura chirurgica arcaica sia un arcobaleno di dati, di simboli e vicende che intarsiano la storia e la geografia.

Con un gruppo di cultori d’archeologia, molti anni fa, ero giunto a una trentina di chilometri dal Cairo a Menfi, la capitale dell’Antico Regno faraonico (2650-2200 a. C.). La meta era l’imponente necropoli, che si raggiunge dopo aver lasciato alle spalle la statua colossale di Ramesse II, una Sfinge di alabastro e le rovine del tempio di Ptah. Davanti a noi si ergeva la famosa piramide a gradoni di Saqqara, una località appartenente sempre alla grande necropoli menfita. Durante quella visita, l’archeologo-guida decise di mostrare al gruppo una curiosità. Varcammo la soglia della tomba del vizir e architetto del faraone Teti, VI dinastia, 2345 a. C. circa, il cui nome era Ankhmahor.

La torcia illuminò una scena di non facile decifrazione che comprendeva un intervento sul pene di un ragazzo, una probabile circoncisione eseguita da un sacerdote, mentre una striscia in geroglifico conteneva indicazioni chirurgico-sacrali per l’operazione denominata seb. Anni dopo avrei ritrovato questa raffigurazione prototipica su un testo dedicato proprio alla circoncisione, che ancor oggi è praticata nel nostro pianeta almeno su un uomo tra quattro. Quella di Saqqara è la più antica attestazione ma la storia dell’umanità ha incessantemente praticato questa sorprendente «correzione» anatomica che comprende – almeno nella tipologia più comune – l’ablazione totale o parziale del prepuzio lasciando scoperto il glande.

A inseguire la storia e il significato di questo intervento effettuato allo stadio neonatale, oppure puberale o successivo, è Roland Tomb, franco-libanese, decano di medicina all’Università Saint-Joseph di Beirut e membro del Comitato di bioetica dell’Unesco. Il suo è un testo quasi narrativo, capace di conquistare il lettore per il vero e proprio arcobaleno di dati, di simboli, di vicende che intarsiano la diacronia storica e la mappa geografica descritta, partendo proprio da quella tomba di Saqqara. Si accumulano, così, enigmi e decifrazioni, controversie e celebrazioni, critiche e giustificazioni di tale prassi.

Questa procedura chirurgica arcaica – approdata anche nell’attuale mondo anglosassone secolarizzato come intervento medicalizzato dalle finalità igieniche e profilattiche – da quali motivazioni è retta? Il ventaglio delle risposte si allarga con le più diverse interpretazioni: rito di passaggio, castrazione simbolica, atto prematrimoniale, sostituto di un sacrificio umano, stemma ideale di appartenenza etnico-tribale, rituale di fertilità o di iniziazione e persino di comunione (si legga l’impressionante prassi «gastronomica» in uso presso i Poro della Liberia che Tomb descrive nel capitolo dedicato alle interpretazioni).

Noi, però, data la prospettiva specifica del nostro approccio, ci soffermiamo solo sulla concezione biblica che, per altro, è quella più nota anche ai nostri lettori. Netta e reiterata è la clausola del legame tra Dio e Israele nell’imperativo divino rivolto al patriarca Abramo: «Questa è la mia alleanza da osservare tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione» (Genesi 17,10-12). Anche a Gesù, figlio di Israele «quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, fu imposto il nome di Gesù» (Luca 2,21).

In realtà, questo atto divenne oggetto di contesa teologico-pastorale quando la prima comunità giudeo-cristiana (che in seguito fu denominata anche «Chiesa della circoncisione») volle che fosse praticato anche dai pagani convertiti, scontrandosi con la ferma opposizione dell’apostolo Paolo. Costui, senza esitazione, affermava che «la circoncisione non conta nulla quanto la non circoncisione, perché conta l’osservanza dei comandamenti di Dio» (1 Corinzi 7,19). In questo egli si allineava alla stessa tradizione biblica che bollava il mero rito sacrale, privo del conseguente impegno etico ed esistenziale, introducendo una «circoncisione del cuore», anima autentica di quella del prepuzio.

Ecco due testimonianze esplicite «parallele»: «Circoncidete il vostro cuore ostinato e non indurite la vostra cervice… Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore» (Deuteronomio 10,16; Geremia 4,4). Tra l’altro, è curioso notare che la stessa Bibbia evocava la prassi araba che allora esigeva la pubertà del maschio, ossia i 13 anni (così per il loro capostipite Ismaele in Genesi 17,25). Inoltre, introduceva in un oscuro passo del libro dell’Esodo (4,24-26) una circoncisione del figlio di Mosè in cui è la madre Zippora a espletare il rito, ma con un sorprendente rimando a suo marito sui cui genitali (letteralmente «piedi») depone il prepuzio reciso recitando la formula: «Tu sei uno sposo di sangue per me». Non per nulla in arabo permane un nesso etimologico tra hatan, «sposo», e hatanâ, «circoncisione».

Può stupire ma non più di tanto che, in epoca ellenistica, gli ebrei «secolarizzati» frequentando i «ginnasi» greci, ove si stava nudi per le attività sportive, si sottoponessero a un’operazione di chirurgia plastica (l’epispasmós) per ricomporre il prepuzio e nascondere così la loro identità giudaica.