16 Feb In life
La nostra quotidianità si sta sempre più dirigendo verso una dimensione digitale. Basti pensare a come ci approcciamo a nuove tendenze, a nuove frequentazioni, al mondo del lavoro e chissà a cos’altro nel futuro, perciò la necessità di definire e di estendere i nostri diritti alla privacy e alla libertà di espressione anche online non è più trascurabile o anche solo prorogabile.
Attualmente i nostri dati sono nelle mani di grandi compagnie che non hanno interesse ad adottare una politica del tutto trasparente nei nostri confronti: forse perché da fruitori delle loro piattaforme ci stanno trasformando in prodotti da vendere a terzi? Probabile, ma siccome i servizi che offrono stanno diventando sempre più irrinunciabili al punto da rendere difficile vivere in life senza un riscontro online, non ci poniamo molto il problema.
Internet oggi è non più una dimensione parallela della realtà, ma una sua estensione diretta, dunque perché per preservare i nostri diritti siamo costretti a fare compromessi? Perché dobbiamo scegliere tra acconsentire a disposizioni poco chiare o tutelare la nostra privacy? Si potrebbe ingenuamente minimizzare dicendo “io non ho nulla da nascondere, mi va bene così”, ma non è questo il punto. Sarebbe un po’ come rinunciare al diritto di espressione perché non si ha nulla da dire.
Dobbiamo cambiare prospettiva. Dobbiamo imparare a vederci anche come ci vedono i famosi algoritmi, ossia come membri di grandi comunità digitali costruite tramite informazioni dedotte dai comportamenti online degli utenti, che poi siamo noi. Internet ci permette di arrivare ovunque, ma per certi versi non fa altro che alimentare la nostra bolla proponendoci contenuti a cui siamo o potremmo essere interessati, il che non è necessariamente un male, anzi, ma mimare dinamiche sociali attraverso meccanismi informatici che non si interrogano su cosa sia etico o no rischia di diventare un serio pericolo. Se è vero che sapere è potere, quanto potere vogliamo lasciare nelle mani dei privati senza che ci sia una reale discussione pubblica su come utilizzare i nostri dati?
Irene Nuzzo