Il silenzio mistico delle immagini

da Il Sole 24 Ore – 28 aprile 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi parla di volumi che provano il fatto che una delle vie per dire il silenzio è l’arte.

Anche nella vita l’ultima parola è il silenzio, sulla scia del celebre motto dell’Amleto shakespeariano secondo il quale «il resto è silenzio». Eppure l’ossimoro greco phesín siôpôn, «parla tacendo», ha una sua profonda verità. E per stare sempre nell’orizzonte classico, si può procedere oltre con l’aforisma di Simonide di Ceo VI-V sec. a.C: «La pittura è poesia muta, la poesia pittura parlante». Ecco, dunque, una sorprendente via per dire il silenzio, l’arte. Ed è ciò che dimostra un bellissimo e poderoso volume, nato da una polifonia di autori che parlano (confermando l’ossimoro) del Silenzio delle immagini. Celebrano, cioè, «l’eloquenza delle immagini silenziose», per citare il titolo del primo dei 25 saggi che compongono l’opera, affidata necessariamente anche a un potente e affascinante repertorio iconografico.

Il sociologo e antropologo David Le Breton nel suo noto testo Sul silenzio (Cortina 2018), aveva aperto un ventaglio i cui vari riquadri dipingevano la spiritualità, la politica, la morte, la psicologia, la conversazione, tutte intrecciate col misterioso linguaggio del silenzio. Assente era, però, proprio l’arte; eppure – come confessa un suggestivo artista contemporaneo, il francescano Sidival Fila – «i quadri non vanno visti, vanno ascoltati». E qui ritorniamo a Simonide e persino al nostro poeta barocco Giovan Battista Marino e a una delle sue Dicerie sacre (1614): «La poesia è detta pittura parlante, la pittura poesia taciturna».

Diverse sono le strade lungo le quali gli autori del volume sopra evocato conducono silenziosamente ad ascoltare i quadri. La maggiore è quella che ha per programma il narrare l’ineffabile attraverso i volti dell’immagine, in altri termini il rapporto tra linguaggio visivo e verbale. Altre vie sono più complesse, come quella che punta a scovare «la dimensione riflessiva dell’opera» attraverso una sua lettura o con l’ascolto della struttura articolata e della sintassi spaziale di un’immagine. Altro percorso è quello, sempre emozionante, della linea, dell’ombra, del colore che «si confermano complesse macchine di senso» da decifrare. E, infine, contemplare il germogliare dell’opera tra tecnica e materia. La sequenza di immagini che intarsiano i vari saggi conferma in modo epifanico la citata tesi centrale così ardua.

Quello che abbiamo detto finora di per sé non appartiene alla recensione che ci eravamo proposti: infatti non ne abbiamo la competenza specifica per parlarne, ma è solo la reazione emotiva di un profano ammesso a una sorta di «Scuola di Atene» di maestri. Queste nostre righe vogliono essere solo un libero e forse un po’ stravagante prodromo a un altro tomo sostanzioso e altrettanto affascinante. Il tema trattato è quello della mistica cristiana, un vocabolo che – come è noto – ha alla radice un verbo greco mýein che rimanda proprio al «tacere», per lasciare spazio alla contemplazione.

Siamo in presenza del terzo e ultimo volume di un trittico già da noi segnalato, destinato a percorrere tutto un orizzonte geografico, storico, culturale e spirituale e affidato alla deliziosa tipologia grafica dei “Meridiani” mondadoriani. Se il progetto editoriale globale è di Francesco Zambon, le singole sezioni sono elaborate da specialisti settoriali, anche a livello linguistico-letterario. Di scena è innanzitutto la mistica iberica: nella settantina di autori antologizzati, brillano nomi notissimi come Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Raimondo Lullo, Ignazio di Loyola, Lope de Vega e così via, ma anche un’inattesa Maria Zambrano, la filosofa che nella parola poetica identificava la culla della conoscenza assoluta e salvifica.

L’obiettivo si sposta poi sul panorama anglo-americano, ove ci viene incontro quel mirabile trattato spirituale trecentesco anonimo che è La nube della non conoscenza. Accanto a voci scontate come quella di Giuliana di Norwich, dalle visioni spumeggianti di simboli che sbocciano dal legame d’amore tra Dio e la sua creatura, o di Thomas Merton, originale cantore di una mistica interreligiosa e inframondana, già ampiamente tradotto in Italia, ecco la bella sorpresa di veder convocati alcuni autori capitali dello stesso canone letterario. Si va dal filosofo Ralph Waldo Emerson, al coro di alcuni dei maggiori poeti di lingua inglese: William Blake è accanto a Emily Dickinson, Thomas S. Eliot si accompagna a Wystan Auden (mancano, però, Francis Thompson e soprattutto una voce altissima di poesia e spiritualità come il gesuita Gerard Manley Hopkins).

Infine, ecco la regione al tempo stesso oscura e luminosa della mistica russa, ove si presentano figure ancora poco conosciute da noi ma dotate di una potenza che stupisce il lettore occidentale, per cui è necessaria la guida iniziale dell’ampio saggio di Adalberto Mainardi. Siamo, infatti, di fronte a un linguaggio e a una concezione inedita, tant’è vero che la tradizione ascetica ortodossa ricorre a una terminologia alternativa, assegnando l’aggettivo mistiki solo agli occidentali. Si deve, allora, riproporre una sorta di basso continuo ermeneutico affrontato in tutto il trittico di questi volumi, destinato a interrogarsi sulla possibilità di definire un’esperienza spirituale dai contorni così fluidi e segnata da una motilità tematica incessante, com’è appunto la mistica.

Ricordiamo anche che questo terzo tomo include in finale un interessante excursus sulla mistica svedese ove si presenta una personalità carismatica trecentesca come s. Birgitte (Brigida) di Svezia. Ma la figura più curiosa e forse inquietante è quella del visionario settecentesco Emanuel Swedenborg, coi suoi otto ponderosi volumi degli Arcana: da lui derivò persino una comunità religiosa che sopravvive ancora oggi in Inghilterra e in Pennsylvania.