I percorsi
della giustizia

da Il Sole 24 Ore – 11 giugno 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi parla del saggio “Le radici della giustizia” di Francesco Occhetta, nel quale l’autore indaga la morale biblica ed esplora l’ambito della giustizia riparativa.

Definirlo saggio è riduttivo perché il testo, affidato a un dettato limpido e quasi «narrativo» è basato su una documentazione incessantemente diretta, pertinente e attuale, cerca di disegnare una sorta di mappa dei percorsi lungo i quali la giustizia si inoltra. Ne vogliamo evocare solo alcuni che possono rivelarsi persino incandescenti o per lo meno pietrosi ai nostri giorni, affidando la lettura delle relative pagine a coloro che desiderano andare oltre il meccanico stereotipo della spada e della bilancia. Certo, in premessa entra in scena la morale biblica che fa quasi da sfondo all’intero itinerario con la sua umanità e spiritualità, soprattutto quando risuona la voce evangelica.

Uno dei primi percorsi è quello della giustizia riparativa, una formula coniata dall’americano Howard Zehr nel 1990, ma praticata già negli anni 70 in Canada. Essa «capovolge la concezione classica di giustizia e pone al centro dell’ordinamento il dolore della vittima, la pena da espiare umanamente per l’autore del reato, l’incontro delle parti, la responsabilità della società di dare un futuro». Questo modello, accuratamente esplorato, costituisce una sorta di asse dell’impianto generale del testo di Occhetta, sulla base anche di esperienze già codificate e persino di un manuale elaborato da Grazia Mannozzi e Giovanni Angelo Lodigiani, dal titolo emblematico La giustizia riparativa (Giappichelli 2017). Al riguardo, nell’ordinamento italiano una svolta capitale è stata segnata dal Guardasigilli Marta Cartabia nel 2021, travalicando il mero sistema sanzionatorio. Gli attori di un evento criminale si dovrebbero interfacciare consensualmente attraverso la mediazione imparziale di un arbitro che fa incontrare sia la vittima del reato, sia l’autore dell’offesa, sia altri soggetti della comunità. La figura del mediatore diventa decisiva, mentre viene rimodellata la tipologia degli avvocati della difesa, alla ricerca comunque di una decompressione della tensione, senza prevaricare sui due protagonisti e sulle relative vicende di violenza patita e inferta.

In questa linea si possono far fluire due altri percorsi affrontati dall’autore. Da un lato, molto caloroso è il capitolo dedicato alle vittime di reati e al loro dolore, ove brillano anche alcuni esempi concreti allegati che rendono le pagine vibranti. In questa sorta di terapia umana è appunto necessario l’incontro tra vittime e rei, attraverso mediatori e testimoni, evocando la potenza simbolica del dialogo tra i volti alla maniera di Lévinas. D’altro lato, si devono spalancare le «vie interiori della giustizia» che si protendono verso la rieducazione e non la pura e semplice punizione rigidamente espiatoria. Certo, come cristiano, Occhetta introduce qui anche il tema del perdono, ma lo fa con una ricca documentazione di indole generale che fiorisce anche in altri terreni ideali.

Come si può intuire, a questo punto un ulteriore percorso privilegiato è quello che ci conduce a varcare la soglia del carcere. Andando oltre le analisi proposte da tanti operatori e osservatori, in queste pagine si sente palpitare la personale esperienza dell’autore che ha spesso visitato e sostato in quel mondo «concentrazionario». È un orizzonte spesso rimosso da chi sta all’esterno dei suoi confini, così da ignorare la scansione delle giornate carcerarie, qui descritte dal vivo in tutta la loro incessante reiterazione, introducendo anche un identikit del detenuto medio. Nella costante documentazione concreta che libera il saggio da ogni astrattezza critica o statistica, curiosi e sorprendenti sono due modelli rieducativi, quello del carcere di Tihar, a Nuova Delhi, e il metodo delle carceri Apac (Associazione di protezione e di assistenza ai condannati) in Brasile. Molto altro è offerto dalle pagine di p. Occhetta, anche a livello più teorico, come la riflessione sull’oscillazione del pendolo della giustizia tra etica e deontologia e sulla distinzione (ma non separatezza) tra etica e morale. Piuttosto inatteso è il capitolo finale sulla giustizia nei conflitti ambientali, un soggetto che ai nostri giorni sta sempre più irrobustendosi. Siamo, infatti, consapevoli che sorgono nuove istanze, sollecitate dalla speculazione, dalla corruzione, dalla concussione, dalla criminalità organizzata, dalle gestioni clientelari, dalle complicità ma anche dall’indifferenza di certi strati dell’opinione pubblica e dall’inerzia della politica. Un’opera appassionata e suggestiva è questo volume di un autore che non si accontenta di avere la giustizia solo «in sommo della bocca», come ironizzava Dante nei confronti dei suoi concittadini (Purgatorio VI, 132), ma anche nel cuore, nell’azione solidale e nella fede cristiana.