Gerusalemme, dove ogni uomo è nato

da Il Sole 24 Ore – 12 novembre 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi racconta di due guide per la città di Gerusalemme scritte da Jean-Pierre Sonnet ed Éric-Emmanuel Schmitt.

«‘O mdôt hajû raglênu bish‘arájik Jerushalájim».

Cantava così l’antico ebreo pellegrino nella città santa: finalmente i nostri piedi sono piantanti alle tue porte, Gerusalemme! Per un istante il suo pensiero ritornava ai giorni passati: «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!» (Salmo 122,1-2). Un sogno realizzato anche per tanti pellegrini che dopo oltre due millenni e mezzo salgono su quel monte di 800 metri ove si raggrumano le memorie sacre delle tre religioni abramitiche, il cui unico Dio tenta, purtroppo vanamente, di abbracciarli in unità, come stiamo ancora oggi sperimentando.

Là, anzi, come cantava ancora il Salmista, tutti i popoli hanno idealmente la loro anagrafe: «L’uno e l’altro in essa sono nati… e il Signore registrerà nel libro dei popoli: là costui è nato» (87,5-6). È proprio con l’eco di queste parole nell’orecchio che il gesuita belga Jean-Pierre Sonnet, poeta e docente di poetica ebraico-biblica, stende sulla pagina quaranta piccole prose intitolate appunto La città dove ogni uomo è nato. Innumerevoli sono le guide per visitare e sostare a Gerusalemme; anch’io non ho resistito alla tentazione di comporne una, memore delle decine di volte in cui i miei piedi hanno calpestato le pietre delle sue vie e dell’intera Terra Santa, purtroppo ancor oggi striate e bagnate di sangue. È l’esperienza attuale dell’immane massacro e dello scontro disumano che insanguina quella terra.

Tuttavia, anche così, può risuonare sempre un’altra esclamazione dell’antico Salmista: «Ai tuoi fedeli sono care le sue pietre e li commuove la sua polvere» (102,15). Sonnet ha voluto porre tra le nostre mani una guida speciale «per entrare a Gerusalemme, rasentare le mura, contare le torri, passare dalle sue porte». Ogni sua prosa poetica, col testo francese a fronte, è quasi un’istantanea scattata su Jerushalájim-al Quds, ove il toponimo arabo significa semplicemente “la Santa”. Anzi, in una di queste scene urbane subentra un vero e proprio quadro: «In caselle, in cupole, in punte e in stelle: è Gerusalemme, quando Paul Klee la mette su tela. Mistica, al culmine della gioia, dall’alto, risolutamente dal basso. L’infinito del divino nei palazzi, nelle sfere e nelle scale e la cruna dell’ago attraversata sognando».

Altro non si deve dire perché questi ritratti, spesso sorprendenti per gli angoli della città da cui sono ripresi, esigono solo la lettura-sguardo. Ritornando al nostro avvio, citeremo soltanto l’ultima prosa, una riscrittura del Salmo 122 da cui siamo partiti: «I nostri piedi nelle tue porte, Gerusalemme, che non ne chiudano i battenti, non murino i viventi nel culto, gli idoli, nei miti ufficiali. I nostri piedi nelle tue porte, che non spezzino in noi il ritmo, lo slancio dei salmi, dei canti delle salite. Nelle tue porte, i nostri piedi, gli ultimi a protestare, ad assediarti – aperta e santa».

Facciamo un salto a ritroso nel tempo, fino al 393-94. Una donna, forse monaca ispanica, di nome Egeria intraprende un avventuroso pellegrinaggio in Terra Santa, sconfinando persino in Siria e Mesopotamia. Il resoconto del suo viaggio, rubricato sotto il titolo Peregrinatio Aetheriae ad loca sancta fu ritrovato in un manoscritto aretino nel 1887. È, questo, l’archetipo di tutti i diari o racconti di pellegrinaggi nella terra di Gesù che fiorirono nei secoli successivi. Ancora oggi il genere si ripropone sotto la penna di un noto scrittore francese, Éric-Emmanuel Schmitt, che alle spalle ha già un romanzo “evangelico” Il vangelo secondo Pilato e la narrazione di un’esperienza autobiografica mistica, La notte di fuoco, vissuta nel deserto dell’Hoggar nel Sahara algerino abitato dai tuareg.

Tra costoro era vissuto ed era stato martirizzato quello straordinario testimone cristiano che è stato Charles de Foucauld, canonizzato nel 2022 da papa Francesco. Anche il santo aveva trovato in Nazaret una prima meta del suo itinerario interiore, ed è nel villaggio di Gesù che lo scrittore lo incrocia spiritualmente. Infatti il suo «viaggio in Terra Santa», così recita il sottotitolo del diario, è scandito da vari incontri, come quello con p. Henri, originario dell’isola francese di Réunion, nell’oceano Indiano, incrociato proprio a Nazaret e che diverrà la sua guida-compagno di viaggio. Certo, le tappe sono quelle classiche dei pellegrini, dalla Galilea alla Giudea, da Gerusalemme a Betlemme, da Cafarnao a Cesarea, e così via.

Eppure i luoghi, le memorie bibliche (soprattutto cristiane), i monumenti – che si affacciano in queste pagine, evocati da pennellate narrative – sono trasfigurati perché, come per Sonnet, lo sguardo di Schmitt trafigge le superfici e le forme alla ricerca di un messaggio, anzi di una presenza. È quella di Gesù che percorre ancora le piste assolate, i vicoli cittadini ombreggiati, gli spazi silenziosi del deserto e il rumore frenetico delle piazze quotidiane. L’asserto teologico dell’Incarnazione riceve una dimostrazione calorosa e colorata passando dalla pagina sacra o dalla mente del fedele alla concretezza di un viaggio nel tempo e nello spazio.

Anzi, in Gerusalemme, quando lo scrittore si inoltra sulla via Dolorosa, la narrazione diventa diafana e si trasforma in una sorprendente e inedita Via Crucis con le sue quattordici stazioni. Tanto altro scoprirà il lettore, soprattutto chi ha già vissuto l’esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa o, sogna, come il Salmista, di piantare finalmente i suoi piedi alle porte di Gerusalemme. È lo stesso papa Francesco a spingere quel lettore a seguire questa narrazione testimoniale, attraverso la lettera finale indirizzata al «caro Éric-Emmanuel, caro fratello» posta in appendice al libro.