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Economia, demografia, democrazia: sfide e linee guida per una governance globale

Da alcuni mesi, la Consulta scientifica del “Cortile dei Gentili” è impegnata nella redazione di un documento analitico, che si propone di indagare e affrontare l’attuale e difficile transizione economia, sociale, democratica e demografica, proponendo delle linee di indirizzo per una governance condivisa e sostenibile a livello globale. Di seguito, se ne pubblica un estratto a cura del Presidente della Consulta, il Prof. Giuliano Amato.

All’interno di una difficile transizione geo-politica l’umanità si trova oggi a vivere una profonda crisi antropologica, non solo individuale ma sociale, dovuta a tre transizioni interdipendenti: a) una transizione demografica; b) una transizione economica e sociale; c) una transizione “democratica” intesa qui come ridisegno delle forme di governo statuali coinvolte in questo processo.

LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA E LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA COME QUESTIONE DI CIVILTA’

La crisi demografica europea rischia di diventare una “questione di civiltà”, una crisi della capacità di tenuta dei valori sui quali si fonda il modello di civiltà che l’occidente ha forgiato.

In questo scenario di «transizione demografica», infatti, sono generalmente posti sotto osservazione gli aspetti ambientali, socio-economici, geopolitici e quindi ciò che dovremmo fare in vista della sostenibilità. Manca, tuttavia, tra questi focus, un’adeguata attenzione allo squilibrio della competizione valoriale sulla scena della globalizzazione, che indubbiamente le dinamiche demografiche e geo-demografiche porteranno con sé; ciò che non viene preso in considerazione, infatti, è se la crisi demografica europea diventerà anche crisi della tutela e della promozione dei valori della dignità della persona, della democrazia e della generatività nell’incontro globale delle culture.

Da un lato infatti si ridurrà il peso oggettivo dell’Europa, e quindi degli europei, nel variegato quadro della popolazione mondiale e dei valori che in esso si esprimono. Dall’altro la stessa Europa, per reggere la competitività del mercato globale, si trova spinta a mettere da parte i valori della “persona”, a favore di un “individualismo proprietario” fine a sé stesso, che risponde alla logica dell’homo oeconomicus. Il rischio, in tale scenario, è che l’Europa e l’Occidente possano perdere il ruolo di promozione a livello globale di una cultura della collaborazione, dell’inclusione, del rispetto degli altri e della dignità di ogni persona.

Un ultimo punto da sottolineare è che solo un governo della transizione demografica che veda una tenuta dell’Europa almeno corrispondente al suo peso geo-demografico offrirà un quadro sostenibile, rendendo al tempo stesso sostenibili anche le migrazioni. I modelli di integrazione fin qui sperimentati sono, infatti, destinati a fallire se non rispettano i “patrimoni” propri di ogni cultura, sul fondamento di quei valori per noi universali, che, scritti fin dall’origine nella Carta delle Nazioni Unite, non possono non essere patrimonio dell’intera umanità. L’integrazione può, dunque, riuscire felicemente solo se, in questa cornice, non mette a rischio la cultura, sia pure in divenire, tanto delle società di accoglienza, quanto delle società “immigrate”.

LA TRANSIZIONE ECONOMICA-SOCIALE

La transizione economica è quella segnata dalla progressiva convergenza che sta portando i Paesi poveri ed emergenti a crescere da anni a tassi superiori rispetto a quelli dei Paesi ad alto reddito. Con la globalizzazione dei mercati, le produzioni tendono a delocalizzarsi verso i Paesi a più basso costo del lavoro, aumentando lavoro e crescita economica in quelle aree e rendendo più difficile il mantenimento di diritti e tutele acquisite dai nei Paesi ad alto reddito. Questo processo, che nei Paesi ad alto reddito  ha portato al crescere di populismi, nazionalismi e spinte protezioniste, durerà ancora molti decenni prima che la convergenza si compia in termini di reddito pro capite tra le diverse aree e prima che la pressione del lavoro a basso costo si attenui. Contemporaneamente, l’umanità si trova anche a dover vincere la sfida della sostenibilità ambientale dello sviluppo e a dover affrontare le conseguenze che il progresso scientifico e tecnologico potrà avere su tanti aspetti della vita individuale e collettiva.

In campo economico, le criticità valoriali che abbiamo di fronte sono riconducibili a quelli che possiamo definire tre riduzionismi:

  • Il riduzionismo del valore, che identifica nel Pil l’indicatore chiave a cui guardare. Il PIL, tuttavia, non è in grado di sintetizzare il benessere, il ben-vivere, la soddisfazione di vita, la ricchezza di senso di vita e persino il benessere economico delle famiglie. In molti Paesi e territori, nuovi indicatori sono diventati riferimento delle politiche sociali ed economiche (in Italia, il riferimento è il BES), a parziale superamento di questo riduzionismo;
  • Il riduzionismo della persona; l’esperienza e gli studi scientifici evidenziano con chiarezza che l’homo oeconomicus in senso stretto, ancora alla base di tanti modelli economici, è minoranza (come dimostrano gli studi sperimentali nelle scienze sociali), ma soprattutto è socialmente ‘dannoso’. Ovvero, l’individuo puramente interessato alla crescita delle proprie dotazioni monetarie è incapace di fertilità sociale ed economica;
  • Il riduzionismo delle imprese, che ne fa soltanto delle massimizzatrici di profitto, a beneficio del solo interesse dell’azionista rispetto a quelli di tutti gli altri stakeholder. A tale visione si contrappone quella dell’impresa responsabile che – al contrario – si pone l’obiettivo più ampio di creare valore socialmente e ambientalmente sostenibile e di ripartirlo in maniera più equilibrata tra i diversi portatori d’interesse.

Una promettente soluzione dei problemi è quella della scelta nei diversi approcci della generatività, vale a dire vivere la propria vita, e il proprio lavoro, cercando di esercitare un impatto positivo sulla vita anche di altri e abbandonando la sola logica dell’homo oeconomicusin nome della relazione interpersonale. In tale ottica è possibile dare un valore maggiore alle nostre scelte economiche, comprese quelle di consumo e di risparmio. Possiamo farlo tutti noi, premiando con le nostre scelte di acquisto le imprese che creano valore in modo socialmente e ambientalmente sostenibile. Lo possono fare le stesse imprese, con la promozione di uno Stato che rimoduli le proprie imposte sui consumi in modo da premiare fiscalmente proprio questo tipo di filiere (consentendo così per loro prezzi più bassi).

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, al contrario di quanto si pensi, le nuove tecnologie possono essere grandi alleati nella promozione della dignità della persona in campo professionale; oltre al miglioramento delle condizioni e degli ambienti di lavoro, infatti, l’adozione di tecnologie più avanzate riduce il peso del costo del lavoro sui costi globali, consentendo il ritorno di produzioni nei nostri Paesi perché la manodopera a basso costo non è più il fattore decisivo per la competitività.

Con la quarta rivoluzione, i presupposti perché ci sia lavoro per tutti e perché il sistema crei un circolo virtuoso sono essenzialmente due: il primo è la sostenibilità ambientale, che implica un passaggio deciso all’economia circolare, e il secondo è fiscale. La ricchezza generata, concentrata nelle mani dei possessori delle nuove tecnologie (si pensi ai giganti globali della rete), deve essere opportunamente tassata per trasformarsi in potere d’acquisto e domanda diffusa.

LA TRANSIZIONE “DEMOCRATICA”

Fino a tempi recenti il capitalismo quale modello di ordine socioeconomico è sempre stato associato alla democrazia come modello di ordine politico-istituzionale. La grande novità dell’oggi è che quel legame tra democrazia e capitalismo si va dissolvendo. Il fatto sconcertante – che tanti in Occidente paiono non aver ancora colto appieno – è che il nuovo capitalismo finanziario non ha problemi ad adattarsi a una pluralità di matrici religiose, culturali, etniche. La novità odierna è dunque che si può avere capitalismo senza democrazia e, più in generale, prescindendo dai cosiddetti valori occidentali (e lo dimostrano paesi come la Cina, Singapore, India e Arabia Saudita).

Accade inoltre che là dove è insediata la democrazia liberale stia prendendo spazio il populismo, che respinge la democrazia rappresentativa a favore della democrazia diretta e che, identificando nella volontà della maggioranza la volontà del popolo, mette in dubbio i principi e le regole dello stato di diritto. In tale scenario, solo un “governo” riuscito delle transizioni economico-sociale e demografica può ricreare la necessaria fiducia nelle liberal-democrazie. E le liberal-democrazie potranno recuperare fiducia, solo se saranno nutrite e rafforzate dalla forza coesiva fornita dalla generatività, fonte di quella solidarietà verso gli altri, che è l’unico antidoto dell’ostilità verso gli altri, su cui fa leva il populismo.

CONCLUSIONE

In definitiva, dobbiamo chiedere al mercato, non solo, di essere efficiente nella produzione di ricchezza e nell’assicurare una crescita sostenibile, ma anche di porsi al servizio dello sviluppo umano integrale, che mantenga in armonia tutte le dimensioni dell’umano.

La dimensione economica, dunque, va inquadrata come una componente non solo non esaustiva, ma contenuta di una più ricca qualità della vita. Non possiamo sacrificare valori fondamentali come la democrazia sostantiva, la giustizia distributiva, la libertà positiva, la famiglia, il rispetto della dignità della persona. Dobbiamo anzi mirare a civilizzare il mercato, vedere cioè il mercato come istituzione a servizio della civitas, la «città delle anime» e non della sola urbs, così come lo avevano del resto pensato i suoi primi teorizzatori, da Adamo Smith a John Stuart Mill.

Discorso analogo va fatto sul ripensamento della figura e del ruolo dello Stato-nazione in un contesto di globalizzazione, che ha profondamente modificato l’ordine internazionale. In particolare, lo Stato non può concepirsi come l’unico ed esclusivo titolare del bene comune, non delegando a istituzioni sovranazionali ciò che da solo non può più governare e non consentendo dall’altra parte ai corpi intermedi della società civile di esprimere tutto il loro potenziale dli libertà e di autogoverno.

La grande sfida da raccogliere è allora come raccordare l’esigenza libertaria, propria della soggettivizzazione dei diritti, con l’istanza comunitaria. Per questo la prospettiva della generatività, dove il compimento più pieno del mio diritto sta nell’arricchire di senso la mia vita contribuendo al progresso altrui, appare una chiave essenziale . Ad essa proponiamo di affidarci per superare le difficili transizioni che stanno oggi attraversando le nostre società.