Dotte pagine sull’antichità cristiana

da Il Sole 24 Ore – 9 luglio 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi ripercorre alcuni testi di ricerca storico – critica sulla fede e sull’antichità cristiana.

«Simul ante retroque prospiciens»: così Petrarca definiva il sapiente nella sua opera incompiuta Rerum memorandarum libri, impostata tra il 1343 e il 1345, a metà del percorso della sua vita. Saper guardare in contemporanea davanti e dietro: è questo il programma apparentemente paradossale, eppur decisivo per il vero sapere, come già aveva intuito il filosofo ebreo Filone Alessandrino quando nel De somniis applicava al saggio l’aggettivo greco methórios, colui che sta sul crinale di due versanti, collocandosi sul filo d’una frontiera tracciata tra territori diversi. Nell’attuale società tecnologica siamo soprattutto protesi sull’ante, sul davanti, sul futuro, scrollandoci dalle spalle i pesi del passato. Non per nulla si moltiplicano i termini scanditi dal post: postmoderno, postcristiano, postumanesimo.

Eppure ci si sta accorgendo della povertà di questa amputazione che ci rende smemorati della nostra «nobilitate» della «mente» e dell’«ingegno», per dirla con Dante (Inferno II, 9). Sorprendente è l’affermazione di Steve Jobs, il fondatore di Apple nell’ormai famoso discorso di Stanford del 12 giugno 2005 con la celebrazione dell’«ingegnere rinascimentale» (il pensiero correva a Leonardo da Vinci), colui che sapeva «connect the dots», congiungere i puntini che staccano passato e futuro: «Non potete unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardando indietro». Insomma, patres posteri uniti nella stessa sequenza.

Questa lunga premessa non è soltanto per esaltare la pur gloriosa cultura che sta alle nostre spalle, anzi sulle cui spalle noi siamo collocati, per usare la celebre immagine di Bernardo di Chartres, tanto cara a Umberto Eco che aveva discusso sulla sua corretta paternità. È anche per celebrare l’impegno umanistico attuale di ricerca storico-critica che è forse emarginato ma che non per questo si scoraggia né si estenua. Ne danno bella testimonianza non poche pagine del nostro stesso supplemento quando appaiono firme di grande prestigio come quelle di Lina Bolzoni, Piero Boitani, Carlo Carena, Salvatore Settis e altri ancora. Ma significative in questa linea sono soprattutto alcune collane costanti nel seguire il sentiero d’altura degli studi filologici.

Ne segnaliamo ora solo alcune. Un’editrice che si inoltra in questo campo da tempo, lungo traiettorie molteplici, è certamente Città Nuova. Indichiamo soltanto due percorsi, con un cenno agli ultimi numeri delle relative collane. Da un lato, i «Testi patristici» si rivolgono a un pubblico più vasto con traduzioni e commenti esemplari, selezionando talora anche opere di nicchia. Così, se vogliamo stare ad approdi recenti, ecco il ben noto e grande oratore Giovanni Crisostomo con le sue Omelie sulla lettera ai filippesi, a cura di Domenico Ciarlo (pagg. 244, € 32), ma anche un «Carneade», come il mercante egiziano alessandrino Cosma Indicopleuste, autore di una curiosa Topografia cristiana, curata da Carlo dell’Osso e Gabriele Castiglia (pagg. 438, € 35). Siamo nel VI secolo e l’autore si impegna a dimostrare l’incompatibilità della fede cristiana con la concezione sferica del cielo!

D’altro lato, oltre a serie patristiche di alta qualità critica, Città Nuova offre anche una collana di studi cristiani antichi, mediolatini e bizantini, intitolata «Fundamentis novis» ove da poco è apparso di Anna Maria Fagnoni Il corpus di Porcario di Lérins: attribuzione, tradizione, eredità (pag. 378, € 30). Si tratta dell’abate del monastero di Lérins, posto su un’isoletta davanti a Cannes, centro antico di cultura e di spiritualità in cui si formavano le più famose personalità della vita ecclesiale della Francia meridionale. I vari scritti di Porcario (V-VI secolo), destinati appunto all’istruzione dei monaci, ebbero una lunga eco e un’ampia circolazione anche nel Medioevo.

Passiamo a un’altra collana e a una diversa casa editrice, le Paoline, con le «Letture cristiane del primo millennio». Col numero 64 è da poco apparsa La penitenza di un autore questa volta celebre come Ambrogio di Milano (pagg. 364, € 46). Chiara Somenzi traduce, col testo latino a fronte, introduce e conduce per mano il lettore in pagine segnate da un duplice registro: polemico contro i novaziani, che erano moralisti rigoristi e inflessibili, e parenetico nei confronti dei fedeli che devono coltivare anche la speranza del perdono attraverso la via severa e dolce al tempo stesso della penitenza (se l’avesse imboccata anche Giuda si sarebbe salvato, sostiene Ambrogio).

Stiamo ancora a Milano per l’ultima segnalazione. L’Università Cattolica con la sua editrice Vita e Pensiero ha allestito da anni una collana di «Studia patristica mediolanensia», ove si sono affacciati coi loro saggi importanti studiosi come Pizzolato, Cacitti, Rizzi, Visonà e altri. Ora è una ricercatrice, Francesca Minonne, a presentare il ruolo della grammatica nell’esegesi cristiana antica con uno studio dal titolo bifronte suggestivo Leggere per interpretare, interpretare per leggere (pagg. 340, € 35). Siamo di fronte a un’opera di grande acribia, dotata di un apparato di investigazione comparativa sofisticato.

Di scena sono figure decisive della cristianità del II-III secolo come Ireneo, Tertulliano, Giustino, Origene, Clemente Alessandrino che nel loro dettato sono letti e interpretati in contrappunto con la cultura pagana incarnata da Plinio il Giovane, Aulio Gellio, Elio Aristide. Entrambi i versanti di questo confronto sono guidati dal rimando comune alla grammatica tradizionale classica, codificata da Dionisio Trace. Uno sguardo illuminante sulla complessa vita intellettuale dell’antica cristianità.