Dio e l’uomo si abbracciano nei libri

da Il Sole 24 Ore – 10 marzo 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi ci propone il suo commento a una serie di libri da lui selezionati

«Ancora un avvertimento, figlio mio: si scrivono libri e libri senza fine e il molto studio debilita il corpo… Tutte le parole sono logore e nessuno è in grado di esprimersi a fondo». Provocatorio come sempre è il biblico Qohelet/Ecclesiaste in questi due moniti del suo libretto (12,12 e 1,8) fatto di sole 2.987 parole ebraiche. Li ripropongo non solo come personale autocritica ma anche come autodifesa: ricevo di media cinque libri al giorno, prevalentemente di taglio teologico o spirituale (e poi si dice che la religione è in crisi…), con un margine di testi tematicamente di cultura generale e, purtroppo, non di rado opere di aspiranti poeti e narratori. Proprio per questo ritorno spesso al passato sicuro e seleziono le riedizioni (o nuove edizioni) di classici cristiani.

È ciò che vorrei proporre anche ora, scegliendo nella molteplice letteratura basata appunto su questi soggetti. L’editrice Città Nuova, che eccelle in tale ambito, suggerisce nella collana, emblematica già nel titolo “Minima”, in un format popolare, le Regole morali di quel grande Padre della Chiesa cappadoce che fu Basilio, divenuto vescovo di Cesarea a 40 anni nel 370 (morirà nel 378 «ormai celebre in tutto il mondo», come dirà il suo collega, Gregorio di Nissa).

L’opera in questione, curata da un importante esperto di patristica, Umberto Neri, non deve trarre in inganno quasi fosse una norma di vita monastica e, quindi, esoterica. Quello di Basilio è un appello rivolto a tutti i cristiani e non solo a coloro che praticano un forte impegno ecclesiale, ed è per questo che il suo discorso ha come palinsesto la Bibbia e come pratica i sacramenti, a partire dal battesimo e dall’eucarestia. «Come non esiste una super-Chiesa – commenta Neri – così non esistono super-Cristiani»: tutti i credenti in Cristo devono avere una stella polare comune i cui raggi sono le 80 “regole” che reggono la fede genuina e che sono tutte sostenute da un florilegio di citazioni bibliche.

Sempre nell’orizzonte della letteratura cristiana scegliamo ora una figura minore che sempre Città Nuova pubblica nella collana più specialistica “Testi patristici” giunta al n. 276. Si tratta di Sesto, un cristiano forse di Alessandria d’Egitto di alta cultura greca il quale, a cavallo tra il II e il III sec., elabora una raccolta di ben 451 “sentenze”, la più antica e rilevante gnomologia cristiana. Il curatore Vincenzo Lombino segnala la dimensione dialogica con la cultura profana, «attingendo alle fonti sapienziali di tutto il bacino mediterraneo, riplasmando soprattutto materiali di tradizione pitagorica, ma anche giudaico-cristiana e persino latina».

Il successo fu folgorante, tanto da generare traduzioni dal greco in latino, copto, siriaco, armeno, georgiano, etiopico. L’edizione di Lombino si affida a un raffinato commento che rivela tutte le filigrane sottese, non solo quelle bibliche ma anche le molteplici classiche, coinvolgendo il lettore attuale che sarà conquistato dall’essenzialità radicale degli asserti. Solo un trittico di esempi all’inizio e alla fine della raccolta: «Nella fede, un uomo di poca fede, è senza fede» (n.6). «Un uomo di fede, in una prova di fede, è un dio che vive in un corpo di un uomo» (n.7). «L’intelletto di un saggio è uno specchio di Dio» (n. 450).

Ora, scavalcando i secoli e migrando in terra europea, affidiamo ai nostri lettori due scritti capitali nella spiritualità ma anche nella stessa cultura spagnola. Da un lato, ecco l’occasione straordinaria di avere in un solo tomo maneggevole l’opera omnia di quel genio mistico cinquecentesco che è stata Teresa d’Avila, ove spiccano il Cammino di perfezione e l’affascinante viaggio all’interno delle sette “mansioni” del Castello interiore. Dalle vette dell’esperienza divina nelle pagine teresiane si scende nella valle della quotidianità ove s’incrociano ugualmente le teofanie, frammiste ai rumori delle strade e talora velate dagli uomini di Chiesa, scettici e prevaricatori nei confronti della libertà femminile di questa donna forte e creativa.

A lei legato c’è, però, anche un religioso, Giovanni della Croce, del quale viene riproposto il celebre Cantico Spirituale, una sintesi mirabile di eros e mistica, di sapienza teologica e di bellezza poetica. Sono quaranta strofe “cantate” e commentate, modulate su quel gioiello biblico che è il Cantico dei cantici. La simbologia dell’amore con tutto il suo ventaglio di colori si trasforma in parabola dell’abbraccio tra l’anima e Dio e si allarga nel commento che Giovanni allega a ogni strofa in una riflessione sul mistero divino e umano. Indimenticabile è l’incipit della prima strofa in cui la Sposa, cioè l’anima, si rivolge all’Amato, il Dio assente: «Dove ti nascondesti, / Amato, e mi lasciasti gemente? / Come il cervo fuggisti, / dopo avermi ferito; / uscii dietro te gridando, e tu te ne eri andato».

L’originale spagnolo a fronte è ancor più emozionante e l’esperienza che viene proposta – come accade anche nelle pagine di s. Teresa – trascende i confini della fede per aprirsi all’intera umanità nella sua interiorità e nella sua ricerca di un Oltre e un Altro. Per dirla col lessico latino, la fede non è un limen, una frontiera limitata, ma è un limes, cioè una soglia aperta. È per questo che un classico cristiano è un classico tout court per credenti e non.