Cristo abita anche in Dostoevskij

da Il Sole 24 Ore – 14 aprile 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi parla del libro di Daniele Castellari e di come cerca la matrice evangelica dell’«Idiota», tra la miseria dell’umanità e lo splendore della grazia, e il testo di don Paolo Alliata in Gary, Tolstoj, Steinbeck e Kundera.

Bisognerebbe introdurre una moratoria, da parte di predicatori, conferenzieri, autori e oratori vari, sull’uso dell’asserto dostoevskiano «La bellezza salverà il mondo». Infatti, essa è stata immersa in un bagno di retorica, di emozione misticheggiante, di vago estetismo. Nel celebre romanzo L’Idiota (1868-69) è, infatti, già ridimensionata da Ippolit, il ragazzo tisico che al protagonista, il principe Myškin, autore del motto, obietta: «Io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento Lei è innamorato».

Paradossalmente, questa irrisione coglie la radice ideale della frase. È il cuore innamorato che, attraverso la bellezza, trasfigura non solo l’amato/a ma l’intero orizzonte naturale e storico. Non per nulla, il Cantico dei cantici, il poema biblico dell’amore di coppia, ha come fondale la primavera in tutta la sua freschezza e bellezza, una stagione marginale nelle coordinate geografico-climatiche della Terra Santa.

A risalire all’anima genuina del protagonista Myškin, e alla filigrana teologica delle pagine del romanzo è un docente liceale, Daniele Castellari, che s’interessa anche di teatro. Il titolo, solo apparentemente provocatorio, del suo saggio rimanda alla matrice evangelica del protagonista del romanzo. Su di lui si sono moltiplicate le interpretazioni da parte di autori di grande rilievo come André Gide, Nikolaj Berdjaev, Romano Guardini, Réné Girard, Pavel Evdokimov, George Steiner, Hans Urs von Balthasar, Vittorio Strada e così via. Si tratta di esegesi tendenzialmente cristologiche che Castellari riordina in un ventaglio di interrogativi: «Myškin è Cristo? Se non è Cristo, chi è Cristo per Myškin? E che è Myškin per Cristo?».

Il cuore del saggio, anticipato dal titolo “sbarazzino”, è nel ricorso alle Beatitudini evangeliche (Matteo 5,3-12), una pagina che François Mauriac nella sua Vita di Gesù definiva come «la Magna Charta del cristianesimo: chi non lo conosce non può sapere cosa sia essere cristiano». Inoltre, come è noto, il titolo originale del romanzo Idiot non rimanda alla nostra accezione negativa di persona rozza e ignorante, ma è il riferimento a una categoria quasi mistica che evoca una sorta di follia d’amore, di pietà, di donazione ai miseri. Myškin la riversa su Nastasja Filippovna, vittima del brutale Rogožin, in un atto di redenzione dall’infelicità e dall’impurità che la assedia.

Ora, Castellari – rimandando spesso a brani del romanzo nell’edizione di Garzanti del 1994 – fa scorrere la sequenza della Beatitudini applicandole di volta in volta al Principe: egli è un «povero in spirito», sereno anche quando versa lacrime, mite, affamato, e assetato di giustizia, misericordioso e perseguitato, votato alla missione di seminare pace. I lineamenti del volto spirituale di Myškin irradiano una luce evangelica purissima che squarcia l’orizzonte di tenebra che lo avvolge e tormenta.

Questo intreccio drammatico, tra la miseria dell’umanità e lo splendore della grazia e dell’amore, percorre anche un romanzo di un altro scrittore russo fondamentale, com’è Risurrezione (1899) di Tolstoj ove incontriamo ancora un principe, Nechljudov, e una donna vittima, Katjuša Maslava. Facile è ritrovare in filigrana a queste pagine un’epifania spirituale, pur nei bassifondi di una storia oscura, una vera e propria «risurrezione». A condurci nell’itinerario ramificato all’interno di quest’opera complessa è Paolo Alliata, un sacerdote milanese, che da tempo si dedica a radiografare diversi scritti del canone letterario alla ricerca di un’anima profonda, anzi, spesso del mistero cristiano.

È il caso di questo suo nuovo testo che, in realtà, è un messaggio o un annunzio di verità e di vita destinato a tanti lettori, a partire dagli stessi studenti del liceo Montini di cui don Paolo è rettore. La sfilata degli autori convocati è molto variegata, pur nella traiettoria costante di liberazione e redenzione ottenuta attraverso «sentieri che introducono all’avventura di diventare davvero vivi». È certamente il miracolo dell’amore, come recita il titolo, ma è un prodigio operato attraverso la parola letteraria.

Gli scrittori che vengono fatti salire sulla ribalta sono spesso famosi come, appunto, Tolstoj o Steinbeck, quest’ultimo scavato anche alla ricerca di una matrice biblica nel suo romanzo Furore, col paradossale «predicatore muto» Jim Casey. O anche quel cultore di domande serie pur nella loro ingenuità che è stato Milan Kundera con la sua Insostenibile leggerezza dell’essere, più celebrata che letta. O ancora Clive Steples Lewis che viene proposto non tanto per le sue popolari Cronache di Narnia, bensì per il suo diario lacerante davanti alla sofferenza e alla morte della moglie, la poetessa Helen Joy Davidman.

Accanto a costoro Alliata, però, rincorre anche due autori poco frequentati. Da un lato, il suggestivo franco-lituano Romain Gary coi suoi Aquiloni, idealmente fatti volare alle soglie del suo suicidio, «un romanzo, in verità, pieno di vita», nonostante il cupo incombere del nazismo. D’altro lato, ecco una sorpresa anche per un lettore insonne (non solo metaforicamente) come me, che ignoravo la stessa esistenza del romanzo Stoner di John Williams che Mondadori ha tradotto nel 2021. A questo personaggio è riservato un ritratto pieno di sintonia e simpatia, fino al suo approdo alla morte che diventa la cifra ermeneutica della sua vita: «La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa e ne avvertì la potenza. Era sé stesso, e sapeva cosa era stato».