Agostino in anticipo sui tempi

da Il Sole 24 Ore – 17 dicembre 2023 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Gianfranco Ravasi ci parla del volume a cura di Renzo Dionigi sull’Arca di Pavia: un’esegesi del monumento che dà anche un orizzonte storico-culturale-spirituale di taglio generale.

In quel dicembre del 1946 era stanco e malato; aveva solo 33 anni eppure era già famoso. Agnostico tormentato, era stato invitato dai domenicani parigini a un convegno su s. Agostino e una sua dichiarazione aveva impressionato l’uditorio: «Io mi sento un po’ come quell’Agostino dell’età pre-cristiana che diceva nelle Confessioni: “Cercavo donde viene il male e non ne uscivo”. Io sono il vostro Agostino prima della conversione. Mi dibatto col problema del male e non esco». Forse si è compreso di chi stiamo parlando: era Albert Camus, e di lì a pochi mesi avrebbe pubblicato quel capolavoro che è La peste, le cui pagine hanno in filigrana proprio quel tema angosciante (non solo per lo scrittore francese). Non per nulla già la sua tesi di laurea (1936) si intitolava Entre Plotin et saint Augustin.

Ad ascoltarlo c’era un collega convertito, Julien Green, che raccoglierà quella testimonianza e che anni dopo, nel febbraio 1955, nel suo Journal confesserà: «S. Agostino non delude mai. È così forte la sua concisione che sembra preservato per sempre dalla sventura di invecchiare. È poco dire che sembra aver scritto per noi, nel 1955: egli è sempre in anticipo sui tempi in cui lo si legge». Questa premessa vuole fare da cornice ideale a una memoria storica agostiniana speciale, i 1300 anni dalla traslazione del corpo del grande Padre della Chiesa a Pavia per iniziativa del re longobardo Liutprando che lo aveva trasferito dalla Sardegna.

Era il 723 e da allora quello del vescovo di Ippona sarebbe divenuto una sorta di «culto civico», attestato ancora oggi dalla mirabile Arca, opera di un misterioso maestro scultore con una serie di interventi e un suggestivo programma iconografico elaborato anche dai magistri lapidum di Campione, monumento custodito ora nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro. Come è naturale, l’evento ha generato un sontuoso volume costellato da un raffinato apparato di immagini. Tuttavia, il merito del curatore, Renzo Dionigi, dell’Istituto Lombardo – Accademia di Scienze e Lettere, è stato quello di non aver optato solo per un testo «esegetico» del monumento, ma di aver ricomposto una sorta di orizzonte storico-culturale-spirituale di taglio generale.

Certo, l’Arca riceve una suggestiva «lettura» sia nel suo insieme strutturale e morfologico, sia in alcuni particolari speciali, come le sorprendenti mini-sculture dei Santi Quattro Coronati o nella statua a tutto tondo della Povertà. Tra l’altro, l’edizione critica integrale del Liber expensarum operum documenta il fervore – secoli dopo (siamo nel XIV secolo) – della comunità monastica degli Eremitani di San Pietro in Ciel d’Oro, nella committenza di edifici e di opere artistiche nella città di Pavia e dintorni. Ma, come si diceva, i saggi raccolti nel volume si allargano a raggiera in una ventina di sguardi variegati di taglio interdisciplinare che vorremmo solo evocare attraverso esemplificazioni.

Così, attira sempre l’enigma dell’identificazione di quel rus Cassiciacum, la villa della campagna lombarda dove Agostino nel 386 visse il suo ritiro preparatorio al battesimo, impartitogli da s. Ambrogio nella notte di Pasqua del 24-25 aprile 387. Sarà il brianzolo Cassago, prevalso in passato, o il varesino Casciago, come sosteneva Alessandro Manzoni nel suo dialogo a Stresa con Antonio Rosmini e Ruggero Bonghi nel 1852? O ancora, come non essere coinvolti in quello straordinario incrocio di anime e di menti geniali che intercorse tra il Petrarca e l’Agostino autobiografici? In questo caso, alla radice c’è la celebre ascesa al Mont Ventoux del poeta che aveva nel cuore proprio le Confessioni agostiniane, come è testimoniato nella lettera del quarto libro delle Familiari, e che genererà il Secretum, equivalente ideale del testo di Agostino. Il santo infatti dialoga in quell’opera per tre giorni col poeta alla presenza muta di una figura femminile, la Verità.

Scavando ancora nella molteplicità dei saggi nel volume, ecco venire incontro un’immagine scenografica inchiodata nella fantasia anche di coloro che hanno conosciuto il Padre della Chiesa solo attraverso un’eco scolastica. Agostino passeggia sulla riva del mare, ed ecco pararsi davanti a lui un bambino che con una conchiglia o un mestolo cerca di travasare in una buca scavata nella sabbia della spiaggia l’immensità marina. L’episodio leggendario è un’evidente parabola dell’eccedenza della trascendenza divina, soprattutto trinitaria, rispetto al limite razionale umano. In questa raccolta di saggi, uno studio specifico presenta appunto una cinquantina di deliziose incisioni tedesche e fiamminghe che raffigurano questa scena in modo pittoresco e “narrativo”.

Alle spoglie del santo custodito nell’Arca si accostano nei secoli pellegrini e viaggiatori italiani e stranieri, lasciandone traccia nei loro resoconti. Interessante è, perciò, seguire l’articolo che raccoglie queste attestazioni dal 1453 al 1914, con le descrizioni anche ambientali e contestuali e con le reazioni più diverse dei visitatori. C’è però anche il momento in cui, nel 1842, da quei resti ossei viene estratta una reliquia su autorizzazione papale: è l’ulna del braccio destro che viene concessa al vescovo di Algeri-Ippona perché possa collocarla all’interno dell’erigenda basilica della Pace, proprio nella città che era stata la sede episcopale di Agostino, a partire dal 395. Là vi era giunto nel 391, era stato ordinato sacerdote e là visse fino alla morte a 75 anni, mentre i Vandali di Genserico ponevano l’assedio alla città. Era il 28 agosto 430.

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