Tre versioni di Giuda

Ecco un altro brano tratto dal libro “Finzioni” di Borges.

“Il tema generale non è complesso, ma la conclusione e mostruosa. Dio, argomenta Runeberg, s’abbassò alla condizione di uomo per la redenzione del genere umano; ci e permesso di pensare che il suo sacrificio fu perfetto, non invalidato o attenuato da omissioni. Limitare ciò che soffrì all’agonia d’un pomeriggio sulla croce, e bestemmia.

Affermare che fu uomo e che fu incapace di peccato, implica contraddizione: gli attributi di impeccabilitas e di humanitas non sono compatibili. Kemnitz ammette che il Redentore poté sentire fatica, freddo, turbamento, fame e sete; è anche lecito ammettere che poté peccare e perdersi.

Il famoso passo: «Salirà come radice da terra arida; non v’è in lui forma, né bellezza alcuna… Disprezzato come l’ultimo degli uomini; uomo di dolori, esperto in afflizioni » (Isaia, LIII, 2-3), e per molti una profezia del crocifisso, nell’ora della sua morte; per alcuni (per Hans Lassen Martensen, ad esempio) una confutazione della bellezza che per volgare consenso s’attribuisce a Cristo; per Runeberg, la puntuale profezia non d’un momento solo, ma di tutto l’atroce avvenire, nel tempo e nell’eternità, del Verbo fatto carne. Dio interamente si fece uomo, ma uomo fino all’infamia, uomo fino alla dannazione e all’abisso. Per salvarci, avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei suoi destini che tramano la perplessa rete della storia; avrebbe potuto essere Alessandro o Pitagora o Rurik o Gesù; scelse un destino infimo, fu Giuda.

Invano le librerie di Stoccolma e di Lund proposero questa rivelazione. Gli increduli la giudicarono, a priori, un insipido e laborioso gioco teologico; i teologhi la disdegnarono. Runeberg intuì in questa indifferenza ecumenica una quasi miracolosa conferma. Dio ordinava quest’indifferenza; Dio non voleva che si propalasse sulla terra il suo terribile segreto. Runeberg comprese che l’ora non era giunta. Sentì che stavano convergendo su di lui antiche maledizioni divine; ricordò Elia e Mosè, che sulla montagna si coprirono il volto per non vedere Dio: Isaia, che atterrì quando i suoi occhi videro Colui la cui gloria riempie la terra; Saulo, che restò cieco sulla via di Damasco; il rabbino Simeon ben Azaì, che vide il Paradiso e morì; il famoso mago Giovanni da Viterbo, che impazzì quando poté vedere la Trinità; i Midrashim, che abominano gli empi che pronunciano il Shem Hamephorash, i1 Segreto Nome di Dio. Non era egli stesso, forse, colpevole di questo crimine oscuro? Non sarebbe questa la bestemmia contro lo Spirito, quella che non sarà perdonata (Matteo, XII, 31)? Valerio Sorano morì per aver divulgato l’occulto nome di Roma; quale infinito castigo sarebbe stato il suo, per aver scoperto e divulgato l’orrendo nome di Dio?

Ebbro d’insonnia e di vertiginosa dialettica, Nils Runeberg errò per le vie di Malmo, pregando a volte che gli fosse concessa la grazia di dividere l’Inferno col Redentore.

Morì della rottura di un aneurisma, i1 primo marzo 1912. Gli eresiologhi, forse, ne faranno cenno: aggiunse al concetto di Figlio, che sembrava esaurito, le complessità del male e della sventura”.