29 Lug Papa Francesco a Lampedusa : non una predica, ma un dialogo con la politica. Intervista al cardinale Peter Kodwo Appiah TURKSON
Perché il Cortile dei Gentili riflette sulla visita di papa Francesco a Lampedusa dell’8 luglio 2013?
Perché l’immigrazione esorta a una seria riflessione filosofica e politica sull’integrazione tra etnie, religioni e culture. Si tratta di ragionare con realismo, ma senza aridità, su quale laicità occorra costruire nel tempo attuale, coscienti del dramma e, insieme, dell’opportunità che tale vasto fenomeno reca in sé.
Qual è il significato politico della storica visita del pontefice?
Per il blog Nuovo Umanesimo del Cortile dei Gentili, ne parliamo con il cardinale ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Eminenza, il papa, a Lampedusa, denunciando la «globalizzazione dell’indifferenza», si è rivolto anche alla carenza o inefficacia di politiche comunitarie europee o dei governi africani sull’immigrazione?
Ringrazio per questa occasione di approfondimento sul senso della visita del Santo Padre. Anche se non era presente a Lampedusa, io penso che il cardinale Vegliò, responsabile del dicastero per i Migranti, abbia ugualmente accompagnato il papa nella sua visita. Tutti possiamo capire l’espressione «globalizzazione dell’indifferenza» perché sono tanti anni che questi migranti cercano di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo, dove tanti di loro hanno perso la vita. Questo fenomeno non è, quindi, recente. Se ciò succede da tempo, e il fenomeno persiste, e se non c’è nessuna soluzione proposta sia da parte dell’Europa sia da parte dell’Africa, si può parlare di indifferenza. È in questo senso che il Santo Padre ha parlato di globalizzazione dell’indifferenza. Ad ogni modo, questo è un fenomeno mondiale. Specifiche situazioni politiche mettono in fuga delle persone dal loro Paese: tra Africa e Europa, tra Messico e Stati Uniti, tra Paesi asiatici e Australia. Ovunque si tratta di rifugiati che cercano condizioni di vita migliori. Nel caso di Lampedusa e del Mediterraneo, c’è una responsabilità europea, ma anche una responsabilità dei governi africani, in questo caso dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La situazione di altri Stati africani va approfondita e verificata. I governi africani devono impegnarsi a creare lavoro per i loro giovani, dar loro un senso di speranza. Così, in questo senso, occorre indirizzare la politica, il sistema dell’educazione, il sistema degli investimenti, anche nei settori privati dove si può creare occupazione stabile e produttiva. Occorrono programmi da predisporre in modo tale che i giovani non pensino che, soltanto fuggendo dal proprio Paese, riusciranno a raggiungere il benessere.
Come si spiega la solidarietà agli immigrati di religione musulmana espressa dal papa a Lampedusa all’indomani di un ennesimo eccidio perpetrato in Nigeria contro i cristiani e dopo l’assassinio di un sacerdote copto in Egitto?
La domanda mette insieme due cose distinte: gli immigrati del Mediterraneo e le vicende egiziane e nigeriane. I rifugiati non sono solamente cristiani e musulmani; la questione non va vista dal punto di vista della religione. Se guardiamo all’album fotografico che il Santo Padre ha avuto la volontà di donare al nostro dicastero, vediamo imbarcazioni piene di gente, ma osservando attentamente, sembra che il fenomeno segua un piano preciso.
Che tipo di piano?
Non si vedono imbarcazioni con popolazioni miste. Esse portano o africani del nord o arabi o africani sub-sahariani. Certo, coloro i quali provengono dall’Africa del nord sono in gran parte musulmani, ma non è l’appartenenza religiosa la caratteristica in base alla quale vengono organizzate queste partenze. Il fattore che li accomuna tutti è la ricerca di una situazione economica migliore.
Quali differenze e distinzioni ci sono con la situazione della Nigeria e con quella egiziana?
I migranti del Mediterraneo, musulmani o cristiani, partono insieme, e se vengono reclusi in campi di permanenza o vengono arrestati, restano insieme, a prescindere dal loro credo religioso. In Egitto e Nigeria la situazione è un’altra. Lì – dove il conflitto ha già una storia – la questione è, invece, religiosa ed è, lo ripeto, distinta dal fenomeno dei rifugiati. L’Egitto, dove già da molto tempo si manifestano sentimenti di intolleranza religiosa, è un Paese a maggioranza musulmana con una minoranza cristiana copta. In Nigeria c’è una situazione ancora diversa: non c’è la persecuzione di una maggioranza musulmana contro una minoranza cristiana. Lì c’è un gruppo specifico che tende a condizionare il governo attraverso un messaggio che può essere formulato e interpretato a seconda di chi parla. Dal mio punto di vista, questo gruppo, inizialmente anonimo, quasi di nessuna importanza, ha iniziato a protestare contro certi abusi in Nigeria, in particolare contro il fatto che coloro che detenevano le risorse economiche e finanziarie fossero personaggi del governo, tutti con una formazione e istruzione occidentale ricevuta negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Sicché, l’equazione è stata questa: se i dirigenti nigeriani commettono abusi, e se essi hanno ricevuto un’educazione occidentale, allora l’educazione occidentale produce queste leadership, quindi in essa c’è qualcosa che non va. Da questo è nato quello che oggi è il movimento Boko Haram, che letteralmente significa “l’educazione occidentale è sacrilega” o “le cose occidentali vanno distrutte”.
Eminenza, quindi – per capire bene – coloro che si muovono nell’anonimato e a cui si è rivolto il papa a Lampedusa sono i fondamentalisti armati?
Sì.
In questo senso, anche noi sbagliamo se intendiamo il cristianesimo come la bandiera, l’ideologia dell’Occidente? In un certo senso, infatti, ci muoveremmo in modo speculare rispetto a questi gruppi fondamentalisti..
Questi gruppi vedono nelle chiese un simbolo dell’Occidente, ed ecco perché le colpiscono. Nel mondo e nella storia occorre sempre distinguere, anche nelle sfumature. Negli Stati Uniti, per esempio, qualcuno può far riferimento alla storia del Ku Klux Klan, che era contro i cattolici, contro gli ebrei e contro i neri per difendere un’idea di fondazione protestante degli USA. Diverso caso è quello della Nigeria, dove il Boko Haram sostiene che l’Occidente, e tutto ciò che quel gruppo identifica con l’Occidente, non è buono e va, dunque, sostituito.
Sostituito da cosa?
L’Occidente, dicono, ci ha deluso, così il movimento – per reazione – ha assunto un carattere islamista che interpreta l’Islam come un deposito di qualcosa in grado di opporsi alla loro idea di Occidente. Così, criticando l’idea occidentale di formazione, essi si rivolgono a un altro modello di educazione: quello islamico.
Ci sono stati dei silenzi e delle critiche, dirette o meno dirette, garbate o meno garbate, da parte di uomini politici alla visita del papa a Lampedusa in cui, tra l’altro, si è detto: il papa fa prediche religiose, la politica è un’altra cosa. Il discorso del papa non è stato anche politico?
L’intervento del Santo Padre si iscrive ad una dimensione diversa da quella politica. Il Santo Padre, con la sua visita, non intendeva abbattere i confini, spalancare le frontiere. L’obiettivo della sua visita era piuttosto attirare l’attenzione sul fatto che i poveri, come ha detto Gesù, sono sempre con noi e si manifestano in diverse situazioni. Questa dei rifugiati è una faccia della povertà nel mondo, che si manifesta in queste persone che fuggono da situazioni poco convenienti alla vita per ricercare situazioni che possano favorirla. In questo senso, allora, la risposta dovrebbe essere in carità e solidarietà. La visita del Santo Padre a Lampedusa credo che vada collocata a questo livello e non vada interpretata certo come una mancanza di considerazione per le istituzioni politiche.
Eminenza, quindi il messaggio della visita del papa è stato, piuttosto, di sollecitare il governante a trovare politiche dell’immigrazione e dell’integrazione? È stato un invito alla cooperazione?
Sì. Qualche anno fa ho celebrato una messa nel campo sportivo di Modena, ed erano presenti il presidente del Consiglio italiano Romano Prodi e il sindaco. Ricordo che il discorso del presidente Prodi era centrato sul tema dell’integrazione e io, rivolgendomi agli immigrati ghanesi, li ho esortati a imparare la lingua italiana, poiché la lingua è una chiave fondamentale dell’integrazione. Se non si impara la lingua, c’è il pericolo di chiudersi ad una cultura. Questa politica di integrazione c’è, e va armonizzata con le politiche di accoglienza.
Nella sua omelia, il papa ha affermato: «chiediamo perdono per coloro che, con le loro decisioni, a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi». A chi si è rivolto?
Ai governi che, con le loro decisioni, non favoriscono la speranza di una vita migliore. Se la politica di un governo favorisce lo sviluppo, le persone rimangono nel loro Paese. Se la politica non compie questo passo, è la stessa politica a mettere in fuga la gente.
Eminenza, quindi chi critica il papa dicendo che fa le “prediche” mentre la politica deve fare un’altra cosa, non ha ben considerato il senso di questa visita?
Portando l’esperienza del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, noi stiamo cercando di superare le barriere tra le due esperienze. Con la nota «Vocation of the Business Leader: a Reflection» abbiamo affermato che non ci sono steccati tra l’ispirazione della fede e l’attività d’impresa, nel senso che l’ispirazione religiosa favorisce una condotta responsabile dell’imprenditore, in vista del bene comune e della tutela della dignità della persona. Il prossimo novembre, il nostro dicastero ospiterà un congresso dei cappellani dei parlamenti. L’obiettivo sarà superare queste barriere: non c’è da una parte la politica e dall’altra la predica, perché ci si occupa dell’uomo. Alcune scelte politiche possono mettere la gente in fuga. Quando questo succede, vuol dire che c’è una politica mal gestita che non consente alla popolazione si restare a casa. Quando questo avviene, non si può tacere. Inoltre, la migrazione di moltitudini di persone introduce necessariamente il problema dell’accoglienza nei Paesi dove esse sono dirette. In questo senso, i Paesi di destinazione sono ugualmente chiamati in causa e, dunque, non possono tacere sulle insufficienze della politica dei Paesi di provenienza.
Cosa fare, allora?
Un governo che riceve gli immigrati può entrare in contatto seriamente con un governo dei Paesi dai quali gli immigrati partono, per cercare di risolvere i problemi lì, sul posto. Pensando all’Italia, dove noi ci troviamo, i governi hanno avuto relazioni con i governi del Maghreb. Perché non intensificare le discussioni tra governi sul tema dello sviluppo all’origine per arginare le migrazioni? Perché non dire ai governi di origine: “perché non fare di più per queste persone?”. Ancora: per fare un esempio, leggo di tante imprese francesi che si trasferiscono in Cina. Ma, invece di andare in Estremo Oriente ad aprire nuove imprese, perché non si va in Africa del nord? In questo modo si potranno generare nuovi posti di lavoro e non sarà necessario emigrare. La soluzione di questi problemi è, com’è chiaro, in gran parte politica.
Eminenza, per chiarire ulteriormente il rapporto tra religione e politica dal punto di vista della Chiesa cattolica: superare le barriere tra politica e religione mantenendo la separazione tra “Dio e Cesare”, ma cooperazione ponendo al centro l’uomo? È il messaggio dell’enciclica Pacem in terris, questo..
La religione può dare la motivazione e l’ispirazione per entrare in contatto e risolvere una situazione umana. Separazione, sì, ma anche dialogo e accompagnamento. Sì alla separazione tra Stato e Chiesa, ma non inimicizia tra essi, e dialogo, accompagnamento, confronto, cooperazione. È questo il ruolo che la religione deve avere nello spazio pubblico. Se si dice che quella del Santo Padre è stata una predica, in qualche modo si dice di non prendere sul serio il suo gesto. L’operato del Santo Padre a Lampedusa va visto, invece, come un invito al dialogo con la politica volto a trovare soluzioni ponendo al centro l’essere umano. È come se il papa avesse detto: “abbiamo di fronte un fenomeno che ci coinvolge insieme. Quali soluzioni possiamo trovare?” Io credo che la visita del Santo Padre Francesco a Lampedusa vada interpretata in quest’ottica.
Il convegno del dicastero della Giustizia e della Pace, del prossimo novembre, con i cappellani presso i diversi parlamenti può essere un tentativo di aprire un ulteriore dialogo con la politica, anche a partire da Lampedusa?
Certamente potrà essere un modo per aprire una nuova finestra sul mondo per accompagnare la politica. Speriamo anche che la celebrazione di quest’anno dell’enciclica Pacem in terris sia di sostegno a questo tentativo, e che si possa scrivere un testo sulla vocazione del leader politico.
di Vittorio V. Alberti